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LA RIFLESSIONE

Vendemmia, le preoccupazioni maggiori arrivano sul fronte dei prezzi e delle tensioni sui mercati

Il 4 settembre le prime stime “unificate” di Unione Italiana Vini, Assoenologi e Ismea. E c'è chi spera in un calo produttivo per la tenuta dei prezzi
ITALIA, MERCATO, PREZZI, VENDEMMIA 2019, vino, Italia
La vendemmia sull'Etna di Donnafugata

A piccoli passi, la vendemmia 2019 in Italia sta prendendo piede, anche se in molti territori, come raccontato a WineNews da alcuni dei più importanti enologi del Belpaese, si arriverà a raccolta a settembre inoltrato, se non in ottobre. E dopo che, con largo anticipo, forse troppo, le organizzazioni agricole, da Coldiretti a Confagricoltura, hanno lanciato da tempo le proprie previsioni, che ad inizio agosto parlavano di un caldo intorno al 6% sul 2018, un quadro più compiuto si avrà il 4 settembre, quando al Ministero delle Politiche Agricole a Roma, per la prima volta insieme, Unione Italiana Vini, Assonoelogi ed Ismea diffonderanno le loro previsioni di vendemmia.

Allo stato dell’arte, secondo l’opinione che va per la maggiore, dice chi cammina ogni giorno in vigna, la raccolta dovrebbe essere leggermente inferiore al 2018, nell’ordine di un -5/-10%, anche se non manca chi “teme” una raccolta addirittura più abbondante.
Teme, perchè più che la qualità delle uve, che vista la mancanza, fin qui, di eventi climatici estremi, è data ovunque come molto buona, o la quantità in se stessa (con la corsa al primato produttivo sulla Francia ormai buona giusto per qualche titolo), nei pensieri dei viticoltori prima e dei produttori di vino poi, c’è la questione dei prezzi. Che, soprattutto nelle fasce più basse e nei vini comuni, sono in picchiata da tempo sul 2018 (che già aveva registrato un calo importante delle quotazioni dopo la avara vendemmia 2017, ndr), con crolli anche del -40% e oltre, in alcuni casi. Ed ecco perchè non dispiacerebbe una vendemmia un po’ più scarsa della 2018.

A detta di molti addetti ai lavori, infatti, l’attività da fare è sulla filiera della creazione del valore, perchè se è vero che ci sono territori e vini di eccellenza che non risentono più di tanto delle oscillazioni di produzione e del mercato, altri, e forse sono la maggior parte in Italia, non hanno spalle altrettanto larghe.


Un considerazione che vale anche per le scorte di cantina, perchè il dato nazionale dell’Icqrf (Istituto per il Controllo della Qualità e della Repressione Frodi), aggiornato al 31 luglio 2019, che dice di 41,2 milioni di ettolitri in cantina - praticamente una vendemmia “scarsa” - di suo, dice poco. Nel senso che, per alcune denominazioni, le scorte sono “fisiologiche” anche ai disciplinari di produzione che, magari, prevedono l’immissione del vino sul mercato anche 3 o 4 anni dopo la vendemmia, e per altre, magari, di grande successo sul mercato, una quantità importante di vino ancora in cantina non vuol dire difficoltà, mentre in altri casi anche pochi ettolitri, per denominazioni più piccole o meno conosciute, possono raccontare di una sostanziale stagnazione dei consumi.

Ne, tanto meno, può lasciare indifferenti il gap ancora enorme tra il valore delle esportazioni tra Italia e Francia: secondo diverse stime, le quotazioni del vino imbottigliato medio che parte dall’Italia è sui 5-6 euro a bottiglia, mentre in Francia si parla di 15-16 euro. Ed è un divario che non è legato tanto alla qualità del vino, quanto al lavoro sul prestigio, sull’immagine e sulla promozione che i francesi hanno fatto tanto prima di noi. E su questo il vino italiano deve lavorare ancora tanto. Sperando, allo stesso tempo, in una ripresa dell’economia nazionale e dei consumi interni, che, invece, già tutt’altro che brillanti, vivono la minaccia costante e sempre più concreta dell’aumento dell’Iva, mentre sull’export, ormai da anni unico motore della crescita del settore, pesano sempre più le minacce di dazi e le tensioni internazionali. Fattori, questi ultimi, sui cui la filiera del vino, peraltro, può incidere ben poco.

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