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Panorama


Le capsule del tempo… Due storie italiane di fiuto e lungimiranza: una del padre della spumantistica, Franco Ziliani patron di Berlucchi e l’altra dell'enologo Andrea Lonardi, responsabile tecnico della Bertani. Entrambi fautori di due invecchiamenti di vini passati alla storia. Immaginare un vino che sarà pronto dopo molti anni dalla vendemmia delle uve dalle quali proviene, è qualcosa a metà fra il magico e la divinazione. Bisogna avere tecnica e conoscenza, certo, ma soprattutto intuizione, saper capire cosa ci sarà in quella bottiglia e indovinarne le caratteristiche. Prevedere, insomma, e provare a capire come si esprimeranno degli elementi che ancora non ci sono. Non cambia molto se parliamo di un grande rosso, di un Barolo, di un Amarone, di un Brunello, oppure di vivaci bollicine, come in un Franciacorta o in un Trentodoc, o in uno Champagne ovviamente. Ciò che conta è che non è semplice guardando un grappolo d’uva sapere che da quello verranno fuori vini che potranno invecchiare ed evolvere per decenni. Avranno avuto dei dubbi del genere Franco Ziliani e suo figlio Arturo quando nell’autunno del 2008 hanno vinificato lo Chardonnay che sarebbe diventato il vino base per poi essere spumantizzato e creare la Cuvée di Franciacorta poi dedicata a lui, che nel frattempo ci aveva lasciato. Franco è stato uno dei “padri della patria” della spumantistica italiana. Aveva rilevato dal fondatore Guido Berlucchi l’omonima cantina a Borgonato, in Franciacorta, nel 1961 e nello stesso anno realizzò il primo vino in assoluto che portava in etichetta quella zona di produzione. Non ancora la Doc perché a quell’epoca non esisteva ancora. Poi lanciò quel nome, quel marchio e quei prodotti in Italia e in molti Paesi esteri, facendoli diventare famosi e apprezzati. Oggi alla guida ci sono i suoi figli, Arturo che si occupa della parte enologica, Cristina e Paolo di quella commerciale. Ma quel Franciacorta del 2008, la Riserva Dosage Zerò Cuvèe, Franco Ziliani l’aveva impostata lui, senza immaginare minimamente che sarebbe uscita per ricordarlo, come una vera Riserva del Fondatore. Inutile dire che si tratta di un Franciacorta eccezionale, dai profumi complessi, nei quali si ricorrono sensazioni di anice, susina gialla, pietra focaia, fiori di campo e persino arancia candita. Le bollicine sono finissime e abbondanti, formano catenelle che lentamente raggiungono il livello del liquido e quindi l’atmosfera. Il sapore è sapido ed equilibrato, l’anidride carbonica solletica lingua e palato in modo quasi sensuale e la persistenza del gusto è straordinaria. Il tutto iniziato quindici anni fa, e ora quella bottiglia è come una capsula del tempo che ci riporta a quella vendemmia e ai protagonisti che la interpretarono, scegliendo le uve migliori in funzione di quello che avrebbe dovuto essere un vino eccezionale. La seconda storia è per certi versi analoga e per altri diversissima. Siamo in Valpolicella, in provincia di Verona, e l’anno è il 2013. Una vendemmia ottima, lunga, dove le uve Corvina, Corvinone e Rondinella, appena pressate, danno vita a mosti profumati e dal colore intenso, quasi violaceo. Una parte di quelle uve, però, non viene vinificata subito. I grappoli migliori, più zuccherini, vengono messi in cassette di legno che sono collocate in grandi cantine areate in modo di farli appassire leggermente. Dopo quattro o cinque mesi sono pressate. Hanno perso liquido, il mosto è dolcissimo e molto concentrato, le componenti tanniche e acide sono più abbondanti, ma l’alcol che scaturisce dalla fermentazione è tale che quasi li ipnotizza e rende il vino possente ma armonico. A osservare tutto questo c'è un giovane enologo, Andrea Lonardi, allora come ora responsabile tecnico della Bertani, una delle aziende storiche della zona. Sta seguendo i primi vagiti dell’Amarone di quell'anno, che poi avrebbe messo in grandi botti di rovere per farlo invecchiare per ben sette anni. Quello che ne verrà fuori ancora pressate. Hanno perso liquido, il mosto è dolcissimo e molto concentrato, le componenti tanniche e acide sono più abbondanti, ma l’alcol che scaturisce dalla fermentazione è tale che quasi li ipnotizza e rende il vino possente ma armonico. A osservare tutto questo c'è un giovane enologo, Andrea Lonardi, allora come ora responsabile tecnico della Bertani, una delle aziende storiche della zona. Sta seguendo i primi vagiti dell’Amarone di quell'anno, che poi avrebbe messo in grandi botti di rovere per farlo invecchiare per ben sette anni. Quello che ne verrà fuori ancora non lo sa bene, ma lo intuisce. Un grandissimo vino capace di invecchiamenti decennali. E appena uscito sul mercato, e promette di farsi ricordare molto a lungo. Un’altra capsula del tempo, insomma.

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