02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Italia Oggi

Il cibo nostrano? Lo faccio in Cina! … Imprese alimentari italiane hanno delocalizzato la produzione. Pirateria olimpionica/Il caso dei prosciutti Parma made in Cina. L’Ice: formare i cuochi cinesi… I falsificatori del made in Italy non si fermano neanche per le Olimpiadi. Nel clima conviviale dei giochi di Pechino, in cui le occasioni di banchetto sì susseguono una dopo l’altra, si leva l’allarme. Ci sono aziende alimentari italiane che invece di appoggiare lo sforzo del governo contro i prodotti contraffatti, pensano bene di produrli, proprio qui in Cina, e poi li vendono in Italia. “Se non puoi battere il tuo nemico accordati con esso”, recita un insegnamento del grande teorico cinese della guerra e dei conflitti Sun Tzu. Una massima, evidentemente, subito condivisa da chi ha deciso di puntare sui bassi prezzi, e la qualità discutibile, che la Cina può garantire.
La logica della delocalizzazione si potrebbe anche capire se questi beni fossero venduti in Cina dove ci sono milioni di consumatori potenziali e, di conseguenza, i margini, anche se bassi sul singolo pezzo, risultano complessivamente remunerativi. Il fatto però è che ormai prosciutti, formaggi, oli e vini dalla Cina prendono la via di casa nostra e in Italia vengono spacciati per autentici made in Italy.
Lo schema è semplice, prendiamo il prosciutto. L’imprenditore italiano si procura il maiale cinese, i cui standard di qualità non sono certo paragonabili a quelli italiani; dall’Italia fa venire uno chef specializzato per sovraintendere al procedimento. Una volta nel nostro paese i pezzi vengono etichettati in modo creativo: “confezionato a Parma”, “prodotto di Parma”, oppure “prosciutto Parma”. Nelle salumerie, ma anche nei ristoranti con meno scrupoli, sarà possibile portarsene a casa un etto a 6,60 euro al chilo contro i 13 del prodotto doc. “È un vero e proprio danno di immagine, oltre che economico, per il made in Italy”, dice il ristoratore Vincenzo Conticello, a Pechino per la serata gastronomica organizzata dall’Ice a Casa Italia. “A essere contraffatto è un prodotto che nasce nel territorio quale il dop o l’igp, per di più a opera di nostri connazionali”. Il giro d’affari stimato è di diverse decine di milioni di euro all’anno. Un peccato che questo avvenga proprio in uno dei paesi simbolo della lotta alla contraffazione e in cui l’export italiano continua a crescere in valore anno dopo anno, grazie proprio alla qualità offerta e sempre più ricercata da un ceto medio in costante espansione. Ma mentre per gli smaliziati palati dei consumatori italiani è più facile smascherare il prodotto alimentare taroccato, educare i cinesi ai nostri gusti è un’operazione più delicata perchè la concorrenza è tanta. Una parte importante della strategia è evitare che nei terminali del consumo, ristoranti italiani e “fusion”, dove si consumano vari tipi di cucine, si affacci il prodotto contraffatto.
“La grande opportunità per i nostri prodotti agroalimentari dipende dalla possibilità di entrare nella ristorazione cinese”, ha spiegato Antonino Laspina, direttore Ice di Pechino. Una cura al fenomeno della contraffazione “fatta in casa” la suggerisce il presidente dell’Ice, Umberto Vattani: “Occorre agire sui cuochi e sui sommelier che hanno un ruolo fondamentale nelle decisioni di acquisto dei ristoratori. Per questo continuiamo a proporre seminari e corsi di formazione in modo che questi operatori siano sempre più in grado di riconoscere la qualità”.

Il flusso di esportazioni italiane di agroalimentare in Cina…

Vini
2000 - 4.605,78
2001 - 4.056,00
2002 - 2.122,92
2003 - 1.362,61
2004 - 2.859,72
2005 - 4.663,62
2006 - 9.270,43
2007 - 14.652,41

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su