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Italia Oggi

Lotta in vitro contro i virus ... Pesco e vite immuni, partendo dai vegetali clonati. Gli sbocchi della ricerca condotta dall’ateneo di Ancona sulla micropropagazione... Specie vegetali clonate in vitro, fabbricate su misura in base alle caratteristiche genetiche, sanitarie e d’uniformità richiesta dai vivaisti. E biotecnologie per contrastare i virus che infettano le piante. Sono i due piani su cui sta lavorando il dipartimento di scienze ambientali e delle produzioni vegetali della facoltà di agraria dell’Università politecnico delle Marche. Il progetto è partito da protocolli siglati sulla cosiddetta micropropagazione in vitro, per replicare le piante su richiesta. Oggi, la nuova frontiera è la battaglia biotecnologica, per liberare alcune piante da attacchi virali. “Proprio il contatto continuo con le imprese del territorio, in particolare con i vivaisti”, spiega a ItaliaOggi Bruno Mezzetti, direttore del dipartimento dell’ateneo anconetano, “e la conoscenza di quelle che sono le loro esigenze di presidio dei mercati esteri, oltre che di quello italiano, hanno fatto si che, all’incirca due anni fa aprissimo un nuovo filone di ricerca nel campo dell’ingegneria genetica, in collaborazione con i colleghi dell’Università degli studi di Verona”. Di cosa si tratti è presto detto: Mezzetti e il suo team di ricerca stanno lavorando sulle resistenze ai virus di due specie: il pesco (fra le piante più difficili da ingegnerizzare) e le drupacee e la vite. Nello specifico, l’obiettivo della ricerca dell’ateneo anconetano è di rendere immuni il pesco dalla Sharka oPPV (plum pot virus) e la vite dall’accartocciamento fogliare e dal legno riccio. Ciò adottando la tecnica, già impiegata con successo sul pomodoro e sul mais, del silenziamento dei geni infettati dal virus (semplificando molto si stimola la pianta a riconoscere come nocive le molecole colpite dalla malattia e a distruggerle). Virus endemici quelli nel mirino dell’Università Politecnico delle Marche, la cui propagazione ha un forte impatto economico negativo per l’agricoltore. in quanto il loro diffondersi in un determinato territorio comporta non solo la perdita di valore commerciale della produzione frutticola delle colture colpite (lo Sharka, per esempio, porta a frutti deformi o con difetti di colorazione, quindi invendibili, seppure non nocivi per la salute umana), ma anche l’obbligo d’estirpare le piante stesse e d’osservare una quarantena, mandando così in fumo investimenti e costi di gestione delle colture stesse (impiantare un ettaro a pesco può costare mediamente 30-40 mila euro). “Oggi, sul pesco, siamo in fase di caratterizzazione molecolare”, prosegue Mezzetti. “Il prossimo passo, che potrebbe concretizzarsi a settembre prossimo, sarà l’ambientamento, ossia il passaggio dalla coltura in vitro a quella in serra, per poi iniziare gl inoculi e verificare, in base a criteri scientifici, se e in che misura le modificazioni genetiche introdotte rendono le piante resistenti ai virus. Solo in quel momento prenderemo in considerazione come cercare di sfruttare questo materiale nel rispetto delle norme italiane ed europee sugli ogm e sulla biosicurezza”. Secondo Mezzetti, se la ricerca portata avanti dall’ateneo anconetano darà i risultati sperati, per potersene avvantaggiare i vivaisti italiani saranno costretti a rivolgersi a partner esteri, così da riprodurre le piantine ogm fuori dai confini del paese.

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