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GIANNI ZONIN: “SUPER EURO E CALO DEI CONSUMI INTERNI. I PERICOLI MAGGIORI PER LE NOSTRE CANTINE”. UNO DEI PIU’ GRANDI IMPRENDITORI ITALIANI AGGIUNGE: “SI DEVE RILANCIARE L’IMMAGINE DEL VINO E FARE AZIONI DI SISTEMA PER LA PROMOZIONE E IL COMMERCIO”

Italia
Gianni Zonin

I consumi interni sono in brusco rallentamento, la competizione internazionale si sta facendo sempre più serrata: “sì - commenta Gianni Zonin presidente del più importante gruppo vitivinicolo privato italiano - penso anch’io che gli altri non staranno a guardare. Per questo metterei da parte certi facili ottimismi, certe euforie. E’ vero: il vino ha conosciuto giorni peggiori di questi, ma ora stiamo vivendo una stagione molto delicata. Siamo all’apice della curva e, in queste situazioni, o siamo in grado di rilanciare o rischiamo di imboccare una pericolosa discesa”.
E quali sono i punti di possibile crisi da affrontare subito? “Più che di punti di possibile crisi parlerei di aree d’intervento. La prima è quella di far acquisire alle nostre aziende vitivinicole dimensioni più competitive rispetto al mercato globale. La seconda è quella di rilanciare l’immagine del vino e di fare un’azione di sistema per la promo-commercializzazione del vino italiano, la terza è vedere come impatta la nuova Ocm vino sul settore e sottoporre a verifica tutto l’impianto normativo che regola in Europa ed in Italia la produzione vinicola”.
“A queste tre aree d’intervento - continua Gianni Zonin - si assomma il problema niente affatto secondario di vedere come reagiranno i mercati, e i nostri concorrenti, al cosiddetto super-Euro. Mi pare stia tornando di stretta attualità quello che da sempre è un comandamento della Zonin: la massima qualità al giusto prezzo. Infine ci sono altre due questioni che devono essere affrontate in maniera radicale: il calo dei consumi interni e la distorsione d’immagine che c’è stata sul vino. Vedo che ci si preoccupa ancora moltissimo di discettare sui bouquet, sui premi, sui riconoscimenti. Intendiamoci: tutti elementi fondamentali. Ma forse un po’ più di attenzione a come si è comunicato il “rischio vino” non guasterebbe. Così come sarà il caso che cominciamo ad interrogarsi sul drastico calo di domanda che c’è in Italia. Che piaccia o no per noi quello interno resta il primo mercato”.
Ma, allora, la crisi del vino c’è o no? “Mettiamola così: sui mercati internazionali - spiega uno dei più grandi produttori italiani - siamo cresciuti e dunque abbiamo vissuto una fase espansiva che soprattutto in Germania, in Russia, probabilmente in estremo oriente continuerà. Negli Usa siamo andati sin qui fortissimo, ma ora c’è l’incognita del dollaro. Le aziende si troveranno con tutta probabilità di fronte ad un bivio: o contrarre i margini o perdere quote di mercato. A livello mondiale l’incremento di consumo quasi pareggia l’incremento di produzione. Ma sul mercato italiano la musica è davvero tutta un’altra. Il settore alcolici, vino compreso, è stato il più penalizzato. Si parla di quasi un meno 7% su base annua. L’inflazione, il ridotto potere di acquisto, fanno diventare gli italiani sempre più selettivi nella loro spesa. E’ vero che i consumi alimentari sono per certi versi incomprimibili, ma è anche vero che all’interno di quel paniere il consumatore fa delle scelte. Basta chiedere ai ristoranti per sapere come va. A questo si aggiunga che è stato fatto del terrorismo sul vino. Le campagne anti-alcol non ha fatto alcuna distinzione. Il vino invece fa parte della nostra cultura, è parte della nostra identità. Con le cosiddette stragi del sabato sera non c’entra nulla. Sappiamo anche che bevuto con moderazione fa bene. Ma tutto questo è stato cancellato. Si è gettata un’ombra di sospetto sul vino che non fa certo bene al mercato. Quindi non c’è una crisi conclamata ma ci sono tutti i sintomi. Anche perché vedo che il numero di aziende piccole e piccolissime in vendita è in tumultuosa crescita. Qualcosa vorrà pur dire”.
Allora,. Il primo pericolo, è il super-Euro. E’ così? “Sì e per due motivi: il primo è che siamo più esposti alla concorrenza internazionale. Non credo che americani e australiani staranno a guardare anche se per fortuna l’evolversi della cultura del vino ci dà una mano, ci offre un ombrello. Il secondo motivo è che anche i mercati dell’area Euro, soprattutto sulle fasce basse di consumo, diventeranno permeabili alle produzioni del “Nuovo Mondo”. Oggi a prezzi costanti australiani, neozelandesi, cileni e americani hanno un vantaggio di dumping monetario nell’ordine del 25%. Diventa fondamentale battersi sul terreno della qualità e della riconoscibilità dei nostri vini. Perché temo che sul fronte prezzi avremo delle sorprese poco piacevoli. Poi c’è da considerare che mentre il dollaro è l’espressione di una politica economica, l’euro è solo una moneta. Voglio dire che gli americani per superare la crisi dei mutui subprime immettono liquidità per sostenere la loro economia. Noi europei invece abbiamo una moneta che è espressione di venti economie differenti e la Bce fa solo politica monetaria. Che non necessariamente è ciò che serve all’economia reale. Quindi è illusorio aspettarsi politiche sui tassi o sul circolante tese a sostenere il ciclo economico. Alla Bce interessa tenere sotto controllo i fattori monetari”.
Il secondo pericolo che Zonin evidenzia sono poi le dimensioni aziendali, ma anche una mancanza di sistema-vino: “assolutamente sì. Si guardi la Francia, la Spagna senza scomodare i soliti americani o australiani. Lì ci sono aziende capaci di fare gradi volumi (che significano anche economie di scala) mentre da noi ci sono una miriade di microaziende. Intendiamoci in Italia questo è un limite di tutta l’agricoltura non solo del comparto vino. Solo la cooperazione sta portando avanti azioni di aggregazione. Credo che questa debolezza la pagheremo. Anche perché andiamo in ordine sparso. Sono curioso di vedere cosa succederà con la nuova Ocm vino e con gli incentivi all’estirpo. Forse quando c’era la distillazione obbligatoria delle eccedenze era più semplice. In caso di ripresa improvvisa della domanda se estirperemo saremo ancora più vulnerabili all’importazione”.
Ma ci sono pure elementi positivi: l’export, nel 2007, è andato molto bene, quindi …? “Il punto di forza più importante, anche in prospettiva, è che stanno entrando - spiega Gianni Zonin - in crisi i cosiddetti vini varietali. Era peraltro scontato che accadesse. Appena i consumatori dei Paesi di più recente cultura del vino hanno imparato a bere non si accontentano più di un generico Merlot, o Cabernet o Syrah peraltro sempre uguali e riconoscibili solo dall’etichetta. Desiderano qualcosa d’altro, ma soprattutto imparano a degustare mangiando e non possono sopportare troppo a lungo vini che sovrastano il cibo. Ecco l’Italia ha negli autoctoni, nei vini di territorio, nella sua straordinaria biodiversità un atout eccezionale da giocare. E’ peraltro la strategia, anzi “il credo” al quale mi sono attenuto per le tenute della famiglia Zonin dai primi anni settanta ad oggi. Il secondo dato positivo è il prezzo - e non sembri una contraddizione rispetto a quanto ho affermato prima - sulla fascia alta di gamma. Lì nel rapporto prezzo/qualità e rispetto a tutti i mercati siamo ancora fortemente competitivi. Il terzo elemento è il positivo trascinamento che del vino italiano sta facendo all’estero la cucina italiana. Se tutti questi elementi fossero accompagnati da dimensioni aziendali più ampie, da una promo-commercializzazione (e ci metto anche la distribuzione) di sistema e da un’immagine più positiva dell’Italia allora le mie previsioni sarebbero meno caute”.

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