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INCHIESTA WINENEWS - NEL 2011, GRAZIE AD EXPORT, IL 93% DELLE CANTINE HA AUMENTATO IL FATTURATO. IL FUTURO? POSITIVO PER IL 53%. LO DICONO 25 CANTINE TRA LE PIÙ IMPORTANTI D’ITALIA, CHE INSIEME FATTURANO 1,8 MILIARDI DI EURO

Italia
Grazie ad export, le migliori cantine italiane vedono roseo il futuro

Il 93% delle aziende vinicole più importanti d’Italia si apprestano ad archiviare il 2011 con un bilancio positivo, dato che l’anno che sta per chiudersi ha portato in media un incremento delle vendite dell’8% (sullo stesso periodo 2010). Un trend che troverà un riscontro anche nelle imminenti feste natalizie, che, per il 32%, significheranno incrementi di vendita, mediamente, nell’ordine del 27%. Futuro roseo per il 53% che esprime un “sentiment” abbastanza positivo anche per il 2012. Almeno così la pensano 25 tra le realtà enologiche più importanti d’Italia per storia, immagine e per volume d’affari (che, complessivamente, rappresentano un fatturato di 1,8 miliardi di euro), sondate da www.winenews.it, uno dei siti di comunicazione più cliccati del mondo del vino italiano.
Le 25 cantine italiane, sondate dall’inchiesta Winenews (che sarà presentata, domani, a Soave, nel Forum internazionale “Vinum Loci: l’evoluzione del mercato del vino. Il valore del territorio, il valore del vino: l’eccellenza globale”), non rappresentano un “campione scientifico”, ma si tratta comunque di un autorevole panel di aziende che sintetizza quella realtà più consolidata del comparto, composta dai marchi già affermati sui principali mercati esteri e in grado di “mordere” quelli nuovi grazie a reti commerciali solide e articolate, capaci di alimentare quell’export che, ancora una volta, si conferma il principale volano di sviluppo per le etichette tricolori.
Il lavoro puntuale delle aziende vinicole del Bel Paese sul loro “core business” ormai sempre più conclamato e cioè quello dei mercati esteri, individua una concentrazione degli sforzi soprattutto negli Stati Uniti (81% del campione), in Asia (75%), in Europa (56%), nel Sud America (25%) e in Canada, a ribadire, da un lato, una ripresa di quelli storici e più maturi e, dall’altro, l’intensificazione di operazioni commerciali anche sui cosiddetti mercati emergenti; si tratta di strategie che necessariamente hanno interessato soprattutto le aziende dal forte “peso economico specifico” (il campione sondato esprime un fatturato complessivo di 1,8 miliardi di euro) e dalle capacità imprenditoriali più sviluppate. A dispetto di un anno in generale particolarmente delicato e dagli esiti ancora incerti, questa chiave di lettura ha permesso alle aziende viticole tricolori di confermare sostanzialmente quella vitalità commerciale già evidenziata nel 2010, ribadendo la propria solidità e la propria capacità di reazione ai fortissimi venti di crisi che continuano a minacciare tutto il mondo. Il che spiega anche l’ottimismo sul futuro espresso dal campione delle 25 aziende vinicole, che non sembrano particolarmente spaventate dalla crisi finanziaria globale, dato che il 53% dichiara un “sentiment” abbastanza positivo sul futuro commerciale e complessivo del comparto, ulteriormente “rinforzato” da un 37% che lo prevede positivo, contro un 10% che, invece, lo percepisce negativo.
Passando ai meno “soddisfatti”, le aziende vinicole che hanno dichiarato una stabilità delle proprie performance di vendita sul 2010 (il 7%), non hanno però evidenziato interruzioni del trend positivo, che già era cominciato nel 2010. Anche le realtà produttive che non individuano grossi margini di crescita nelle vendite per le prossime feste natalizie, sono il 68% secondo la rilevazione di WineNews, uno dei siti di comunicazione più cliccati del mondo del vino italiano, non dichiarano decrementi o arresti nel proprio flusso di vendita, ma, piuttosto, delle percentuali, in media del 3%, non particolarmente rimarchevoli.
La voce di queste realtà produttive è, però, marginale rispetto al panorama complessivo del mondo vitivinicolo del Bel Paese, caratterizzato ancora da un patrimonio di imprese polverizzato e dai fatturati ancora piuttosto deboli. E che, probabilmente, soffrono in modo decisamente importante lo stato attuale dell’economia mondiale.

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