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MONDO PARALLELI

Se i punti di forza del vino italiano sono i punti deboli di quello francese ... e viceversa

Dallo studio di FranceAgrimer, una panoramica su Italia e Francia: e se le cose andassero meglio di quanto raccontano i numeri?

Vista da qui, l’Italia del vino sembra sempre avere qualche limite e qualche problema in più di quanto non racconti la realtà. Non si tratta di glissare su dati di crescita che segnano, effettivamente, un arretramento dei volumi (-9% a 16,26 milioni di ettolitri) ed una stagnazione dei valori (+3,8% a 6,18 miliardi di euro) per le esportazioni tricolore, quanto di rendere merito al comparto ed ai suoi punti di forza. Che, per una volta, sono addirittura i nostri cugini francesi a riconoscerci. Come emerge infatti dallo studio di Deloitte e FranceAgrimer, “Facteurs de compétitivité sur le marché mondial du vin”, che abbiamo analizzato qui qualche giorno fa, il vino italiano, in base ai 6 fattori presi in esame, è il più competitivo al mondo, e nel confronto con la Francia, nostro principale competitor praticamente su tutti i mercati, è interessante notare come i nostri punti di forza siano i punti di debolezza della Francia e viceversa.
L’Italia è il primo produttore al mondo, vanta rendimenti elevati, una vasta gamma di prodotti, vini capaci di incontrare i gusti di ogni mercato, la triade vino, gastronomia e turismo sono la base della comunicazione del Paese, mentre marketing e promozione godono di un certo dinamismo, così come i consumi interni, in ripresa. Al contrario, il continuo calo della produzione e delle rese, la stagnazione delle vendite in volume e quella dei consumi interni, unite alla dipendenza dalle importazioni dei vini entry level, tanto per i consumi interni che per l’export, sono i punti di debolezza della Francia del vino. In questo gioco di specchi, tra i punti deboli dell’Italia c’è la dipendenza dell’export dall’andamento sui tre grandi mercati di Usa, Germania e Uk, ma anche margini commerciali insufficienti (l’altra faccia della competitività dei nostri prezzi) ad imporre i nostri marchi, mentre spesso l’ordine di grandezza delle nostre aziende non è sufficiente a presidiare certi mercati. La Francia, invece, ha proprio nella notorietà e nella storia dei suoi marchi, così come delle sue denominazioni, uno dei principali punti di forza, insieme alla grande capacità commerciale che le permette di essere il primo esportatore mondiale per valore.
Insomma, due mondi ben distinti, in competizione, ma difficilissimi da paragonare, tanto che anche il dualismo tra i due sistemi spumantistici non appare poi così rappresentativo della situazione reale come si potrebbe immaginare: è vero che la Francia chiuderà il 2018 con 3,25 miliardi di euro di bollicine esportate, perlopiù, com’è facile immaginare, di Champagne, per 1,9 milioni di ettolitri, ma la crescita dei volumi sarà superiore a quella dei valori (+4,4% vs +4%), il che vuol dire un calo di prezzo; l’Italia, al contrario, sostenuta dal sistema Prosecco, chiuderà il 2018 a 1,58 miliardi di euro di export legato agli sparkling, in crescita del +16,3%, per 3,99 milioni di ettolitri (+8,9%). Ecco, la differenza sta tutta qui: nonostante gli ovvi ed evidenti punti di forza del sistema enoico francese, dovremmo concentrarci su quelle che sono le cose che sappiamo fare meglio e che, proprio a detta dei nostri cugini, ci rendono persino più competitivi di loro, tornando a guardare con ottimismo ai mercati ed al futuro.

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