In Cina il 30% ed oltre delle vendite di vino passa dall’e-commerce. Aspetto che la Pandemia ha reso ancora più solido ed importante in un mercato che è sempre più importante anche per il business enoico, indicato da molti, almeno in era pre-Covid, come prossimo primo consumatore di vino da tutto il mondo. Che l’Italia debba recuperare terreno rispetto ad Australia, Francia e Cile, che dominano nelle esportazioni enoiche, è un altro dato di fatto, confermato, oltre che dai numeri assoluti (poco più di 16 milioni di euro di vino esportati tra gennaio e marzo 2020, 133 nel complesso nel 2019, dati Istat), c’è anche la totale assenza di brand e territori del Belpaese tra le posizioni di vertice per presenza tra le referenze dei 50 top retailer di Cina sul web analizzati dalla società specializzata MiBD, guardando ai soli vini rossi, che sono la grande maggioranza del consumo enoico nel Paese.
Ebbene, se tra i marchi spiccano giganti come Penfolds, Concha y Toro, Wolf Basse, Casella e Domaines Baron de Rothschild, davanti a nomi comi Jacob’s Creek, Chateau Lafite Rothschild, Chateau Beychevelle, Chateau Cantemerle, Chateau D’aussieres, Bodegas Torres, Chateau Latour, Chateau Haut-Brion, Great Wall e Los Vascos, tutti presenti almeno nel 40% dei cataloghi, a destare ancora più attenzione ad un occhio italiano è la totale assenza del Belpaese dalla top 15 anche tra le denominazioni ed i territori di origine, con al vertice il Cile con la Central Valley, poi Bordeaux e l’Australia con la South Australia, e ancora via via Medoc, Vin de France, Bordeaux Superieur, California, Pay d’Oc Igp (ancora dalla Francia), Mendoza, Rioja, Colchagua Valley, Maipo Valley Haut-Medoc, Barossa Valley e Languedoc.
Una classifica da prendere, come tutte, per quello che vale, ma che fa riflettere su quanto ancora ci sia da fare per far crescere la popolarità del vino italiano e dei suoi territori nel mercato cinese, nonostante i grandi sforzi messi in campo da aziende, fiere ed istituzioni in questi ultimi anni.
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