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INTERVISTA

Michel Rolland, dalla crescita della gradazione alcolica dei vini ai vitigni resistenti

Senza peli sulla lingua, provocatorio, ma anche ottimista sul futuro del vino: a WineNews l’enologo più influente della nostra epoca

Dalla crescita della gradazione alcolica dei vini, considerata un falso problema “che interessa ai giornalisti e non ai consumatori”, alla transizione ecologica del vino verso la sostenibilità ed il bio, processo fondamentale ed irreversibile, che richiede però tempo e studio, perché la qualità del vino resta un tema imprescindibile; dal valore del brand aziendale, che si è dimostrato ancor più decisivo in questi mesi difficili di pandemia, al futuro radioso del vino e della viticoltura, grazie ad una generazione di enologi e winemaker giovani ma con grande esperienza internazionale: sono tanti le riflessioni, raccolte da WineNews, nell’intervista a Michel Rolland (domani, il video), l’enologo più influente della nostra epoca, oggi firma e consulente di vini e cantine mito di Toscana, come Masseto, Ornellaia e Tenuta di Biserno, e, da qualche anno, anche Caprai in Umbria, per il Sagrantino e non solo. Maestro del taglio bordolese, Michel Rolland, con la sua moderna idea di vinificazione, ha contribuito a portare alla ribalta mondiale i vini di Bordeaux, e dalla Francia, con lo stesso successo, ha poi influenzato il modo di fare vino ovunque, dalla California all’Argentina, al Cile, e senza dimenticare l’Italia. Oggi, dopo 40 anni di carriera ai massimi livelli, analizza tendenze e visioni sul futuro, senza peli sulla lingua.
A partire dal tema del grado alcolico,
“che sta aumentando in tutti i vigneti del mondo: io dico no alle gradazioni basse, e dico no per una ragione molto semplice, perché un tempo la gradazione non era riportata in etichetta, quindi nessuno conosceva la gradazione del vino, e nessuno la indovinava, e tutti i buoni vini, i grandi vini, avevano una gradazione elevata, non esistevano grandi vini con poco alcol. I consumatori chiedono vini con gradazione bassa? Io dico che non è così - spiega Rolland - sono i giornalisti a chiedere vini a bassa gradazione, non i consumatori, perché i consumatori non guardano la gradazione sull’etichetta, sono i giornalisti che la guardano. Per quanto riguarda il riscaldamento globale, viviamo in un periodo nel quale abbiamo preso l’abitudine di vendemmiare l’uva molto matura, e questo ci dà la possibilità di bere dei buoni vini in Italia, in Francia e ovunque nel mondo, a differenza di quanto accadeva 30 o 40 anni fa, quando c’erano dei vini francamente cattivi, in particolare in Italia, ma anche in Francia, Spagna e negli altri grandi Paesi produttori”, continua Rolland.
Il fuoco, quindi, si sposta sulla viticoltura del futuro, che dovrà essere sostenibile, dal punto di vista ambientale ma anche economico e sociale:
“il cambiamento culturale, sia nella gestione del vigneto che a livello di mentalità delle persone, è basilare. Credo che sia importante per tutti andare verso il biologico, verso le colture che rispettano l’ambiente, le colture che, più semplicemente, rispettano la vita, e su questo piano dobbiamo cambiare per andare avanti. Quello che trovo un po’ ridicolo è voler fare questi cambiamenti in un un lasso di tempo molto ridotto, non è possibile farlo da un anno all’altro”, fa notare Michel Rolland. “Si studia, ci si prepara, sono necessari comportamenti differenti, di tempo. In tutto il mondo si parla di agricoltura biologica, di rispetto per l’ambiente, è questa la direzione che è stata presa, ma bisogna dare tempo al cambiamento. Ci possono essere altre soluzioni, oltre il biologico e il biodinamico, che comunque hanno dato eccellenti risultati dove il clima è favorevole”.
Il rischio, è che biologico e biodinamico vengano ridotti a fenomeni di marketing, più che a buone pratiche, perché, riprende Rolland, “se prendiamo in considerazione lo stato dell’arte della cultura biologica e biodinamica, notiamo che ha un effetto sul marketing sproporzionato rispetto ai risultati effettivi, perché il bio rappresenta una piccola percentuale del vino. È come quando ci occupiamo di disabili o di ciechi: è importante che se ne parli, ma non ci sono solo disabili al mondo, e allora occorre parlare anche degli altri. Io ho una proprietà in Argentina, dove faccio del biologico, ma non lo metto in etichetta perché non voglio avvantaggiarmene a livello di marketing, trovo che ci sia un abuso di questa situazione. Ci sono molte menzogne dietro tutto questo - dice ancora Rolland - ma resto persuaso del fatto che in futuro si imporrà un altro tipo di cultura, e ripropongo la mia risposta di sempre: bisogna prendersi del tempo per questa transizione, e bisogna farla bene. Il vino non ne deve soffrire, per me bere del biologico cattivo non ha senso, è una cosa stupida che dobbiamo fermare. Comunque sia, la prima cosa da fare per affrontare il mercato produrre un vino buono, molto buono. Anche perché il marketing e la commercializzazione sono aspetti che molti non riescono a gestire bene, è complicato e la concorrenza è forte, e come in tutte le forme di concorrenza, chi corre più veloce arriva primo, quindi occorre correre più velocemente, avere idee, muoversi. Il prodotto è sì importante, ma è altrettanto importante l’ambiente in cui ci si muove”.
Un ruolo apicale, in questo contesto, lo giocano i “marchi forti”, specie nell’affermazione nel mondo di una Denominazione e di un territorio.
“Il brand è molto importante nel mondo del vino, lo abbiamo visto nell’ultimo anno, tutte le marche che si sono imposte sono marche che hanno una reputazione, un nome internazionale. Per un marchio affermato è più facile, perché ha una visibilità maggiore sul mercato, e i consumatori che viaggiano, abituati ad acquistare vino, trovano il loro brand in ogni Paese. Questo vale per le aziende che hanno grossi volumi - spiega l’enologo - mentre per quelle che hanno piccoli volumi è più complicato, perché la loro visibilità sul mercato è ridotta, e occorre quindi indirizzarsi verso consumatori alto di gamma, che apprezzano la qualità: ci vogliono vini di qualità per consumatori di qualità, ma sarà comunque difficile avere una visibilità globale sul mercato”.
Un’altra novità che si affaccia sul mercato, proprio nella Bordeaux di Rolland, è quella che riguarda le varietà resistenti, in via di sperimentazione, ma che potrebbe sostituire i vitigni tradizionali del vino di oggi, ipotesi su cui l’enologo è piuttosto scettico.
“A Bordeaux c’è un detto sulla produzione del vino: fare il vino è facile, la cosa difficile sono i primi 5 anni. Quindi credo che per queste nuove varietà valga la stessa cosa, il difficile saranno i primi 5 anni, ma in ogni caso voglio proprio vedere i vitigni tradizionali come il Cabernet Sauvignon, il Merlot o il Cabernet Franc sostituiti con qualcos’altro”.
Guardando al futuro, e alle possibilità che il mondo del vino offre anche in termini lavorativi e di ripresa economica, Rolland sottolinea come
“se oggi lavoro in ogni angolo del mondo, 40 anni fa, quando ho cominciato la mia attività, non era così, lavoravo esclusivamente a Bordeaux, così come gli italiani lavoravano in Italia e gli spagnoli in Spagna. Oggi c’è una generazione di winemaker giovani, molto motivati, molto dotati, con un grande bagaglio di nozioni. Si sono scoperte molte cose negli ultimi anni, e non è un caso - dice Michel Rolland - che il vino non sia mai stato così buono, perché ci lavorano equipe di persone molto preparate. Sono molto tranquillo circa la qualità del vino, che i giovani winemaker potranno fare su misura, on demand, con più acidità, con meno colore, o meno alcol. Si possono fare vini di qualità, perciò l’avvenire del vino è assicurato: lasciamo spazio ai giovani, lasciamoli fare, perché, a livello mondiale, dalla California al Sud America, passando per l’Europa, c’è una generazione di winemaker in rampa di lancio”.
Infine, una considerazione, sull’importanza di essere un numero 1 e sulla consapevolezza di non essere “il” numero 1, perché nel mondo del vino tanti sono gli enologi capaci di firmare vini spettacolari.
“Sapete qual è il problema dei numeri 1? Che non posso essere l’unico. Avrei dovuto ammazzare tanta altra gente che ha fatto vini buoni. Ci sono tanti winemaker che hanno fatto vini ottimi, che avrei voluto fare io. Io lo dico apertamente quando li assaggio, dico che è un buon vino e che vorrei averlo fatto io. E questa è una fortuna per i consumatori, perché quello che io produco rappresenta una piccolissima parte della produzione di vino, non basterebbe per tutti, è normale che ci siano altre persone che sappiano fare grandi vini”, conclude Michel Rolland.

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