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POLITICA ITALIANA

Agricoltura, made in Italy, sostenibilità: il discorso del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni

I passaggi più significativi per l’agroalimentare nel discorso programmatico presentato oggi alle Camere, in attesa del voto di fiducia

“L’Italia deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo. Penso al marchio, fatto di moda, lusso, design, fino all’alta tecnologia. Fatto di prodotti di assoluta eccellenza in campo agroalimentare, che devono essere difesi in sede europea e con una maggiore integrazione della filiera a livello nazionale, anche per ambire a una piena sovranità alimentare non più rinviabile. Che non significa, ovviamente, mettere fuori commercio l’ananas, come qualcuno ha detto, ma più banalmente garantire che non dipenderemo da Nazioni distanti da noi per dare da mangiare ai nostri figli. Penso alla favorevole posizione dell’Italia nel Mediterraneo e alle opportunità legate all’economia del mare, che può e deve diventare un asset strategico per l’Italia intera e in particolare per lo sviluppo del meridione”. È uno dei passaggi del discorso programmatico, presentato questa mattina alla Camera dei Deputati, e poi consegnato al Senato della Repubblica, del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni (qui il video integrale). Che tra temi e concetti, è tornata a toccare, come già fatto in passato, e come abbiamo riportato ieri, il tema dell’agricoltura e del made in Italy, che sembra essere più centrale che in passato nel programma del Governo, che come primo provvedimento, secondo alcune indiscrezioni di stampa, potrebbe prendere proprio quello di cambiare i nomi ad alcuni ministeri, come quello delle Politiche Agricole, che, come noto, sarà dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare (guidato da Francesco Lollobrigida), ma anche quello dello Sviluppo Economico, che diventerà delle Imprese e del Made in Italy (guidato da Aldofo Urso).
Tra i valori citati dalla Meloni, ancora, quello della “bellezza”, che è inscindibilmente legata anche ai territori agricolo del Paese. “E penso alla bellezza. Sì, perché l’Italia è la Nazione che più di ogni altra al mondo racchiude l’idea di bellezza paesaggistica, artistica, narrativa, espressiva. Tutto il mondo lo sa - ha detto il Presidente del Consiglio - ci ama per questo e per questo vuole comprare italiano, conoscere la nostra storia e venire in vacanza da noi. È un orgoglio certo, ma soprattutto è una risorsa economica di valore inestimabile, che alimenta la nostra industria turistica e culturale. E aggiungo che tornare a puntare sul valore strategico dell’italianità vuol dire anche promuovere la lingua italiana all’estero e valorizzare il legame con le comunità italiane presenti in ogni parte del mondo che sono parte integrante della nostra”. Ancora, la Meloni sottolineato un aspetto che sembra rispondere alle richieste di minore burocrazia, e di un rapporto diverso tra imprese, cittadini e Stato, arrivato in questi mesi anche da parte delle filiere dell’agricoltura, dell’agroalimentare e del vino. “Perché tutti gli obiettivi di crescita possano essere raggiunti - ha detto in un passaggio del suo discorso - serve una rivoluzione culturale nel rapporto tra Stato e sistema produttivo, che deve essere paritetico e di reciproca fiducia. Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia va sostenuto e agevolato, non vessato e guardato con sospetto, perché la ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori, non lo Stato con decreti o editti. Il motto di questo Governo sarà: “non disturbare chi vuole fare”. Le imprese chiedono soprattutto meno burocrazia, regole chiare e certe, risposte celeri e trasparenti. Affronteremo il problema partendo da una strutturale semplificazione e deregolamentazione dei procedimenti amministrativi per dare stimolo all’economia, alla crescita e agli investimenti, anche perché tutti sappiamo quanto l’eccesso normativo, burocratico e regolamentare aumenti esponenzialmente il rischio di irregolarità, contenziosi e corruzione. Un male che abbiamo il dovere di estirpare. Abbiamo bisogno di meno regole, più chiare per tutti e di un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, perché il cittadino non si senta parte debole di fronte a uno Stato tiranno che non ne ascolta le esigenze e ne frustra le aspettative”. Da qui, secondo il Presidente del Consiglio, dovrà nascere un nuovo patto fiscale, “che poggerà su tre pilastri. Il primo: ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso una riforma all’insegna dell’equità; penso, ad esempio, alla progressiva introduzione del quoziente familiare, ma penso anche all’estensione della tassa piatta per le partite Iva dagli attuali 65.000 euro a 100.000 euro di fatturato. Accanto a questa, partire per una tassa piatta, dall’introduzione della tassa piatta sull’incremento di reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente: una misura virtuosa con limitato impatto per le casse dello Stato che può essere un forte incentivo alla crescita. Il secondo pilastro: una tregua fiscale per consentire a cittadini e imprese, in particolare Pmi, in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco. In ultimo, una serrata lotta all’evasione che deve partire da evasori totali, grandi imprese e grandi frodi sull’Iva, e soprattutto deve essere vera lotta all’evasione, non caccia al gettito. È la ragione per la quale intendiamo partire da una modifica dei criteri di valutazione dei risultati dell’Agenzia delle entrate, che vogliamo ancorare agli importi effettivamente incassati e non alle semplici contestazioni, come incredibilmente è avvenuto finora. Imprese e lavoratori chiedono da tempo come priorità non rinviabile la riduzione del cuneo fiscale e contributivo.L’eccessivo carico fiscale sul lavoro è uno dei principali ostacoli alla creazione di nuova occupazione e alla competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. L’obiettivo che ci diamo è intervenire gradualmente per arrivare a un taglio di almeno cinque punti del cuneo in favore di imprese e lavoratori per alleggerire il carico fiscale delle prime e aumentare le buste paga dei secondi. Per incentivare le aziende ad assumere abbiamo in mente un meccanismo fiscale che premi le attività ad alta densità di lavoro - “più assumi meno paghi”, lo avevamo sintetizzato - ma ovviamente questo non deve far venir meno il necessario sostegno all’innovazione tecnologica”.Ancora, un passaggio sul tema della sostenibilità e della difesa dell’ambiente, dove la Meloni ha ripreso il concetto già espresso nella sua prima uscita pubblica dopo le elezioni, da Coldiretti, ovvero la difesa della natura, ma con l’uomo al centro. “Sappiamo che ai giovani sta particolarmente a cuore la difesa dell’ambiente naturale. Ce ne faremo carico, perché, come ebbe a scrivere Roger Scruton, uno dei più grandi maestri del pensiero conservatore europeo, “l’ecologia è l’esempio più vivo dell’alleanza tra chi c’è, chi c’è stato e chi verrà dopo di noi”. Proteggere il nostro patrimonio naturale ci impegna esattamente, come la tutela del patrimonio di cultura, tradizioni e spiritualità, che abbiamo ereditato dai nostri padri perché lo potessimo trasmettere ai nostri figli. Non c’è un ecologista più convinto di un conservatore; ma quello che ci distingue da certo ambientalismo ideologico è che noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro, coniugando sostenibilità ambientale, economica e sociale. Accompagnare le imprese e i cittadini verso la transizione verde, senza consegnarci a nuove dipendenze strategiche e rispettando il principio di neutralità tecnologica: sarà questo il nostro approccio”.Solo alcuni passaggi di un discorso lungo e complesso, dove la Meloni, tra l’altro, ha ribadito la posizione italiana nello scacchiere internazionale: “l’Italia - ha detto - è a pieno titolo parte dell’Occidente e del suo sistema di alleanze, Stato fondatore dell’Unione europea, dell’Eurozona e dell’Alleanza Atlantica, membro del G7”, sottolineando che l’azione del Governo italiano sarà “dentro alle istituzioni europee, perché quello è il luogo in cui l’Italia farà sentire forte la sua voce, come si conviene a una grande Nazione fondatrice. Non per frenare o sabotare l’integrazione europea, come a volte ho sentito dire, anche in queste settimane, ma per contribuire a indirizzarla verso una maggiore efficacia nella risposta alle crisi e alle minacce esterne e verso un approccio più vicino ai cittadini e alle imprese. Noi, per intenderci, non concepiamo l’Unione Europea come un circolo elitario, con soci di serie A e soci di serie B o, peggio, come una società per azioni e diretta da un consiglio d’amministrazione, con il solo compito di tenere i conti in ordine. L’Unione Europea per noi è la casa comune dei popoli europei e, come tale, deve essere in grado di fronteggiare le grandi sfide della nostra epoca, a partire da quelle che gli Stati membri difficilmente possono affrontare da soli. Penso agli accordi commerciali certo, ma anche all’approvvigionamento di materie prime e di energia, alle politiche migratorie, alle scelte geopolitiche, alla lotta al terrorismo, grandi sfide di fronte alle quali non sempre l’Unione europea si è fatta trovare pronta”. Un discorso che come è nel gioco delle parti, è stato applaudito dalle forze di Governo, e accolto con scetticismo e freddezza dalle opposizioni. Ora mancano solo i voti di fiducia di Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, dallo scontato esito positivo, e poi la nomina dei Sottosegretari. E poi il tempo, come è stato per tutti i Governi, di ogni schieramento, dirà quanto e come le parole si tradurranno in fatti.

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