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IL DATO

Il “Vigneto Italia” è diminuito del -15% dal 2000 ad oggi. Cresce solo il Nord-Est

La “radiografia” dei filari del Belpaese nel rapporto Ismea-Rnn. Da inizio secolo ad oggi persi 117.305 ettari di vigneti V

Al netto degli andamenti climatici degli ultimi anni, una vendemmia media, in Italia, negli ultimi 5 anni ha volumi di produzione intorno ai 47 milioni di ettolitri, la stragrande maggioranza a Dop e Igp. Difficile dire se siano troppi o meno, in un contesto di mercato che sta cambiando e che vede i consumi di vino in calo, in maniera forte se si guarda alla congiuntura, tra economia e guerre, ma forse anche in maniera strutturale se si guarda a trend di lungo periodo come quello del salutismo crescente. In ogni caso, mentre in Francia, così come in Australia o in California, sono già in essere dei piani di estirpo dei vigneti più o meno forti, e più o meno sostenuti da contributi pubblici, in tutta Europa, dove si producono quasi i due terzi del vino mondiale, e in Italia, che con la Francia si alterna come primo produttore in quantità nel mondo, si inizia a discutere di questa misura, tra estirpazioni definitive e altre “temporanee”, ma ancora tutte da normare a livello Ue (dove il regolamento sui nuovi impianti consente un incremento massimo dell’1% all’anno per ogni Paese membro, ndr). Ma al di là di questo, è un dato di fatto che in Italia, dall’inizio del secolo ad oggi, gli ettari a vigneto siano già diminuiti in maniera importante. Una riduzione del 15%, dai 792.440 ettari del 2000 ai 675.135 del 2023, anche se il picco più basso è stato nel 2015, quando si sono toccati i 637.634 ettari, poi tornati a crescere, con un +4,9% negli ultimi 8 anni. Anche se, guardando all’arco temporale 2000-2023, tutte le regioni sono in perdita, più o meno marcata, ad accezione di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, non a caso terre di due delle denominazioni di spumanti e bianchi più grandi e di maggior successo nel mondo, ovvero il Prosecco Doc ed il Pinot Grigio delle Venezie, tra le altre. Che sono, in sostanza, anche le protagoniste del recupero post 2015. È una delle evidenze del Rapporto “Situazione congiunturale del settore vino in Italia nel 2024 ed esigenze rispetto alle traiettorie future”, firmato da Ismea e Rete Rurale Nazionale.
“Le regioni che hanno visto crescere la superficie investita sono quelle del Nord-Est: Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Trentino-Alto Adige. In queste tre regioni la superficie investita è cresciuta nel nuovo secolo del 37%. Queste regioni, pur con caratteristiche strutturali molto diverse, hanno beneficiato del grande successo internazionale del varietale Pinot Grigio e degli spumanti a denominazione da Glera”, si legge, infatti, nel rapporto.
Che spiega come tra le regioni che mostrano, invece, una diminuzione della superficie investita nell’arco di tempo considerato è possibile individuare tre gruppi distinti in base all’entità della riduzione del potenziale regionale. Un primo gruppo è quello delle regioni nelle quali la superficie diminuisce meno della media nazionale. Si tratta di cinque regioni del Centro-Nord: Abruzzo (-3,7%), Toscana (-5,3%), Lombardia (-6,9%), Piemonte (-13,7%) ed Emilia-Romagna (-14,3%). “Si tratta di un gruppo eterogeneo per orientamento produttivo trovandosi insieme due regioni nettamente orientate all’alta gamma, come Toscana e Piemonte, e due regioni orientate a produzioni popular premium come Abruzzo e Emilia-Romagna”, spiega il rapporto. Che evidenzia anche un secondo gruppo, fatto da Regioni che hanno visto un calo tra il -15%, in media, ed il -30%, il doppio di essa, come Puglia, Marche, Sardegna, Sicilia, Umbria e Valle d’Aosta, e poi un terzo gruppo dove il calo del vigneto va dal -32,2% della Campania fino al -59,2% del Lazio e il -66,3% della Liguria, con cali sopra il 30% anche per Molise, Calabria e Basilicata. Ogni regione, ovviamente, ha motivi differenti che spiegano questo andamento. “Da una parte ci sono regioni come la Liguria e la Valle d’Aosta, dove rilevanti sono i problemi legati ai costi di produzione elevati, data la particolare orografia delle aree vitate; dall’altra ci sono regioni dove la coltivazione è più agevole, ma difficile risulta la relazione con il mercato. Non trascurabile ormai è anche il problema della stabilità delle rese al Sud, con i crescenti problemi di siccità”.
Ma tra i fattori da considerare, spiega il rapporto, è che “queste dinamiche differenziate del potenziale nelle diverse regioni sono state possibili grazie a un processo continuo di trasferimento delle superfici vitate tra regioni, sia prima della modifica del regime di controllo del potenziale che successivamente, sfruttando le possibilità di trasferimento interregionale dei vigneti anche sotto il nuovo regime delle autorizzazioni. L’analisi dei trasferimenti interregionali che ha avuto luogo tra il 2016 e il 2021 ha messo in evidenza trasferimenti per circa 9.000 ettari, coinvolgendo 17 amministrazioni regionali/provinciali cedenti e 14 di destinazione, rivelando anche flussi bidirezionali. Di fatto, però, la maggior parte dei flussi risulta originato da poche regioni (Sicilia, Lazio, Umbria e Puglia) e circa il 90% di questo flusso si è diretto verso Veneto e Friuli-Venezia Giulia”.
Ma a cambiare, oltre alla “geografia” del vigneto-Italia (che sta ulteriormente cambiando internamente, visto che anche nelle stesse denominazioni, in molti casi, chi può sposta i vigneti in zone più fresche e di maggiore altitudine per fare fronte al riscaldamento climatico, ndr), è anche la sua struttura. la superficie media aziendale, infatti, è passata da 1 a 3 ettari, ma soprattutto la proprietà è sempre più concentrata, tanto che il 20% del vigneto italiano è condotto da aziende che hanno una superficie vitata di più di 20 ettari. Inoltre, si è andati sempre più verso le produzioni a denominazione, tanto che le superfici rivendicabili a Doc o Docg sono passate da 250.000 ettari nel 2000, a oltre 400.000 ettari nel 2020. Con la metà del vigneto italiano che è stato interessato da interventi di ristrutturazione o riconversione dei vigneti, anche grazie ai finanziamenti pubblici europei dell’Ocm. Un processo che ha coinvolto oltre 330.000 ettari di vigna, che ha visto alcune regioni ristrutturare o riconvertire oltre la metà del proprio vigneto, come Sicilia (70%), Emilia-Romagna (61%), Toscana (52%) e Lombardia (51%).

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