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LO SCENARIO

Unione Italiana Vini: “il vino italiano non brinderebbe ad un accordo tra Usa e Ue con dazi al 10%”

Sondaggio tra le principali aziende italiane (per un fatturato complessivo da 3,2 miliardi di euro): danni stimati tra il 10% ed il 12% negli States
DAZI, EXPORT, LAMBERTO FRESCOBALDI, MERCATI, PREZZI, UE, UIV, UNIONE ITALIANA VINI, USA, Italia
Il vino italiano non brinderebbe ad un accordo tra Usa e Ue con dazi al 10%

Le trattative sui dazi tra Usa ed Ue vanno avanti, con la data del 9 luglio come “dead line” che per ora resta valida. Tutti sperano in una soluzione diplomatica che rimuova anche le tariffe universali ad oggi fissate da Trump al 10%, rispetto al 20% iniziale durato solo per qualche giorno in aprile. Mentre altri, come il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nei giorni scorsi, hanno sottolineato come uscirne mantenendo la tariffa al 10% sarebbe già un buon compromesso. Ipotesi che, però, non piace al mondo del vino italiano, che ha negli Stati Uniti il suo primo mercato straniero. “Nessun brindisi al possibile accordo sui dazi al 10% per le imprese del vino italiano, che destinano verso gli Stati Uniti il 24% del proprio export per un valore, nel 2024, di 1,94 miliardi di euro”. A dirlo Unione Italiana Vini - Uiv, che con il suo Osservatorio ha sondato il parere di alcune delle principali imprese vitivinicole italiane, secondo le quali “il danno stimato sul fatturato d’oltreoceano si attesterebbe, infatti, in una forchetta tra il 10 e il 12%, su cui influisce anche il cambio euro/dollaro. Il motivo è chiaro, per il 90% delle imprese intervistate (il cui giro d’affari aggregato supera i 3,2 miliardi di euro), i consumatori non sarebbero in grado di assorbire l’extra-costo allo scaffale determinato dal dazio al 10%. Da qui l’opinione condivisa in larga maggioranza dal panel che l’impatto per le imprese sarebbe complessivamente rilevante nel 77% dei casi: “medio alto” per il 61% e “molto alto” per il 16%”, spiega Unione Italiana Vini.
“Occorre ricordare - ha detto il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi - come il settore del vino sia tra i maggiormente esposti all’aumento delle barriere, in primo luogo perché la quota export statunitense arriva al 24%, contro una media del made in Italy che supera di poco il 10%, ma anche perché il vino è un bene voluttuario quindi con una maggior propensione alla rinuncia all’acquisto. Il danno ci sarebbe eccome - ha concluso Frescobaldi - per le nostre imprese, ma anche per la catena commerciale statunitense, che per ogni dollaro investito sul vino europeo ne genera 4,5 a favore dell’economia americana. In Italia saranno penalizzate in particolare le piccole imprese - molte di esse destinano oltreoceano fino al 50% del proprio fatturato - o le denominazioni bandiera negli Usa, come il Moscato d’Asti, il Pinot Grigio, il Chianti, il Prosecco, il Lambrusco e altri”.

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