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Banfi tra i big del vino, e non solo, di “Winegraft”, nuova società nata per finanziare la ricerca che ha portato ai nuovi portinnesti “serie M”, con il coordinamento di Attilio Scienza. Sul mercato, i cui proventi torneranno in parte alla ricerca

Anticipare i soldi per garantire il proseguimento di una ricerca, prevedere un rientro dall’investimento iniziale con l’incasso di royalty dalla vendita dei prodotti, e prevedere che, una volta raggiunto l’obiettivo, metà dei guadagni restino alla società e agli investitori, e l’altra metà tornino nuovamente alla ricerca, in un incontro fruttuoso (e raro) tra accademia ed impresa: è l’obiettivo di “Winegraft”, costituita da famose griffe del vino italiano tra cui Castello Banfi (con Ferrari, Zonin, Bertani Domains, Cantina Due Palme, Cantine Settesoli, Castellare, Armani Albino e Claudio Quarta) insieme a Fondazione Venezia e a Bioverde Trentino. Che con un capitale di 500.000 euro ha finanziato il Progetto “Ager Serres”, che ha coinvolto i ricercatori delle Università di Milano, Padova, Torino e Piacenza, il Cra Vite di Conegliano e la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, coordinati dal professor Attilio Scienza, con lo spin-off IpadLab, dell’ateneo milanese, grazie al quale sono oggi disponibili nuovi portinnesti “universali”, la cosiddetta “serie M” migliorati dal punto di vista della gestione idrica, della salinità e della mineralità, importante poiché la vite si comporta reagendo agli stimoli che vengono dall’apparato radicale.
Una grande innovazione innovazione di prodotto, dunque, possibile grazie a quella che è anche una prima assoluta dal punto di vista del modello societario e di finanziamento della ricerca nel mondo del vino. “Dai risultati delle ricerche - spiega il èrofessor Attilio Scienza - sono scaturiti dei dati importanti sulle performance di questi portinnesti in numerosi ambienti produttivi italiani, mettendo in luce la loro superiorità nei confronti dei portinnesti commerciali. Il progetto ha inoltre evidenziato alcuni marcatori molecolari che consentiranno di accelerare in futuro la valutazione di nuovi semenzali da incrocio attualmente in osservazione”. A riprodurre e commercializzare i nuovi portinnesti sarà la Vivai Cooperativi Rauscedo, leader europea nel settore delle barbatella, che verserà, appunto, le royalty a Winegraft.
“Sappiamo che la ricerca è importantissima, ma che spesso non si trovano i fondi per farla andare avanti. Questo è un progetto di sostegno alla ricerca, ma anche di impresa - spiega il presidente della società Marcello Lunelli - e che ha un orizzonte di almeno 15 anni. Una volta pareggiato l’investimento iniziale, per statuto, la metà del guadagno, sarà ridato alla ricerca, per la quale, in questo caso, abbiamo comunque anticipato risorse e garantito i fondi necessari per 3 anni”. Insomma, un modello di finanziamento della ricerca che, nel vino, potrebbe diventare un esempio virtuoso da seguire, anche per mettere sempre più a stretto contatto, ed in modo proficuo per tutti, il mondo dell’Università e della sperimentazione scientifica con quello dell’impresa.

Focus - Il progetto i e nuovi portinnesi “serie M” nelle parole del professor Attilio Scienza
““Theorie und Praxis” (teoria e pratica), era il motto del Goethe naturalista. Coniugare la speculazione scientifica con l’applicazione concreta dei risultati della ricerca, era per il poeta tedesco la sintesi perfetta che ogni pedagogo e scienziato dovevano porsi come obiettivo. Spesso però il mondo dell’Università e quello della produzione rimangono distanti e si scambiano accuse reciproche di non riuscire a mettere assieme le competenze dell’una con le esigenze dell’altra. La breve storia che segue dimostra però che è possibile creare una collaborazione molto efficace tra il prodotto dell’innovazione e al sua pratica applicazione. Alla fine degli anni ‘80 è iniziato presso l’Università di Milano un progetto di miglioramento genetico della vite teso a produrre nuovi portinnesti capaci di tollerare la siccità e resistere ad elevati tenori di calcare nel terreno.
L’idea non era nuova: con l’arrivo della fillossera in Europa erano stati creati molti portinnesti con queste caratteristiche che avevano consentito di ricostruire la viticoltura che da allora venne chiamata moderna, perché assieme al portinnesto erano state introdotte tecniche colturali innovative come le forme d’allevamento a spalliera, necessarie per una efficace lotta antiparassitaria, la potatura , la concimazione minerale, la presenza esclusiva della vite nel vigneto, senza cioè altre colture consociate. Da allora, dalla fine del 1800 però, non sono stati più creati nuovi portinnesti, mentre sono sotto gli occhi di tutti i cambiamenti che sono avvenuti nella coltivazione della vite, la sua diffusione in ambienti climaticamente molto diversi da quelli europei, le nuove esigenze di qualità da parte del consumatore e gli effetti del cambiamento climatico che pongono forti limitazioni allo sviluppo della pianta se non si interviene con l’irrigazione. Il cammino per giungere alla valutazione delle caratteristiche agronomiche, tali da giustificare l’inserimento dei nuovi portinnesti nel Registro Nazionale delle varietà è stato molto lungo ma ha subito una importante accelerazione negli ultimi tre anni mediante il finanziamento di un consorzio di Fondazioni bancarie, il Progetto Ager Serres che ha coinvolto i ricercatori delle Università di Milano, Padova, Torino e Piacenza , il Cra Vite di Conegliano e la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Dai risultati delle ricerche sono scaturiti dei dati importanti sulle performance di questi portinnesti in numerosi ambienti produttivi italiani, mettendo in luce la loro superiorità nei confronti dei portinnesti commerciali.
Il progetto ha, inoltre, evidenziato alcuni marcatori molecolari che consentiranno di accelerare in futuro la valutazione di nuovi semenzali da incrocio attualmente in osservazione. Mancava a questo punto l’ultimo anello della catena per arrivare al viticoltore e questo anello è stato completato attraverso la costituzione di una nuova società, la Winegraft. Con le royalty che deriveranno dalla vendita delle barbatelle, sarà garantita continuazione del progetto di miglioramento genetico dei portinnesti. A margine di questo risultato è necessario fare due considerazioni: la prima riguarda il significato dell’iniziativa, che va al di là del mero risultato economico e che rappresenta il primo esempio concreto di sviluppo di un progetto dalle concrete ricadute economiche da parte dell’industria enologica italiana a favore dell’Università. Ci auguriamo che non rimanga un caso isolato. La seconda è relativa alle difficoltà incontrate a livello burocratico per stabilire un rapporto di reciproco interesse tra Università ed aziende private. Siamo certi che l’esperienza fatta potrà servire ad altri per ottenere più rapidamente il risultato. Un ultima considerazione riguarda il valore e la passione delle persone, giovani imprenditori che appartengono all’Uiv, che non hanno mai disperato di arrivare alla conclusione di questa iniziativa, malgrado le difficoltà. Nelle loro mani sono riposte le sorti della nostra viti-enologia: se affronteranno i problemi del settore con questo spirito, il nostro futuro sarà più roseo”.
Attilio Scienza

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