“II vino come sintesi dell'umore della terra e della luce che viene dal cielo”, spesso il grande Giacomo Tachis amava ripetere questa frase attribuita a Galileo, e questo gli sarà tornato in mente quando dagli assolati terreni del Sulcis e da due vitigni all'epoca - erano gli anni Ottanta - noti solo in Sardegna, tirò fuori il Terre Brune: un vino che ancor oggi è uno dei simboli della Sardegna enoica. Da uve Carignano e un tocco di Bovaleddu il Terre Brune 2016 appare alla vista di un bel rubino granato intenso, dai riflessi più scuri e brillanti. Al naso, profuma di macchia mediterranea, sottobosco, frutti neri e rossi ben maturi ma che non virano mai, neanche dopo una lunga sosta nel bicchiere, verso la confettura, per poi lasciar spazio a sentori balsamici e speziati, pepe nero in particolare. Austera, calda e ben giocata tra frutto, acidità e tannini, la bocca; ampia, persistente e dal lungo e seducente finale all'insegna di frutti e spezie. La storia di Santadi comincia ormai sessanta anni fa (era il 1960), dallo slancio coraggioso di un gruppo di vignaioli pionieri. I primi anni servirono a rodare una macchina complessa con produzione e vendita di solo vino sfuso, mentre le prime bottiglie arrivano sul mercato intorno agli anni Ottanta. Oggi la Cantina Santadi è un colosso, almeno per l'economia dell'isola dei Nuraghi, da quasi 1.800.000 bottiglie e oltre 600 ettari a vigneto.
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