02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024
“VINITALY 2023”

Coldiretti chiama a raccolta 20.000 giovani per la vendemmia nei vigneti italiani

Il vino è una componente importante dei 100.000 lavoratori che mancano all’agricoltura. L’organizzazione riapre la “cantina degli orrori” dei falsi

Nei vigneti italiani servono almeno 20.000 lavoratori per garantire le operazioni colturali primaverili e la prossima vendemmia, colmando la mancanza di manodopera che ha duramente colpito le campagne lo scorso anno con la perdita rilevante dei raccolti agricoli nazionali. A chiamarli a raccolta, da “Vinitaly 2023” è Coldiretti, secondo quanto emerge da un’analisi diffusa in occasione della visita della Premier Giorgia Meloni. Il comparto vitivinicolo nazionale è una componente importante del totale dei 100.000 lavoratori che mancano all’agricoltura.
Si tratta infatti di un settore ad elevata intensità di lavoro con operazioni difficilmente meccanizzabili che richiedono manualità e professionalità, con un bisogno medio di 80 giornate lavorative, fra coltivazione e vendemmia, secondo una stima Coldiretti. Una parte centrale è rappresentata proprio dal lavoro stagionale con picchi di domanda nei periodi della vendemmia che sono sempre stati garantiti grazie a lavoratori provenienti da altri Paesi che si fermano in Italia per qualche mese, tornando anno dopo anno. Si stima che nelle vigne un lavoratore su sei sia straniero con molti “distretti agricoli” dove gli immigrati sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della preparazione delle barbatelle in Friuli, o della raccolta dell’uva in Piemonte, Veneto, Toscana e le altre Regioni del vino. Ma forte è anche la presenza di giovani sotto i 35 anni che rappresentano quasi un terzo del totale degli occupati nelle campagne.
La pandemia e la guerra hanno complicato la situazione, determinando una carenza di manodopera che ha provocato situazioni di difficoltà con le imprese che, negli ultimi anni, hanno avuto problemi a trovare i collaboratori necessari per potatura e raccolte, dovendo spesso rinunciare a parte della produzione che deve essere assolutamente raccolta quando matura. L’ultimo Decreto flussi con l’ingresso di 44.000 stagionali si è dimostrato insufficiente a colmare la domanda di lavoratori nei campi ed è urgente dunque l’emanazione di un nuovo decreto per assicurare la disponibilità di manodopera.
Ma nelle campagne in vista della vendemmia c’è posto anche per studenti, pensionati o disoccupati che vogliono trovare una occasione di reddito e fare una esperienza all’aria aperta a contatto con la natura, grazie al nuovo sistema di prestazioni occasionali introdotto nell’ultima Manovra che porta una rilevante semplificazione burocratica per facilitare l’avvicinamento al settore agricolo. Una opportunità, spiega Coldiretti, per pensionati, studenti, disoccupati, percettori di Naspi, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali e detenuti ammessi al lavoro all’esterno con l’unico limite determinato dalla durata della prestazione che non potrà superare, per singolo occupato, le 45 giornate di lavoro effettivo all’anno e non aver già lavorato in agricoltura. Si tratta di un rapporto di lavoro subordinato agricolo che garantisce le stesse tutele (contrattuali, previdenziali, assistenziali, ecc.) previste per gli occupati a tempo determinato ma il salario sarà esente da imposizione fiscale, cumulabile con qualsiasi tipologia di trattamento pensionistico.
“La disponibilità di manodopera nelle campagne è vitale per garantire la sovranità alimentare del Paese, ridurre la dipendenza alimentare dall’estero e assicurare la possibilità di produrre e consumare prodotti al giusto prezzo” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorre anche ridurre il costo del lavoro in agricoltura per riversare i risparmi ottenuti dai datori di lavoro ai lavoratori agricoli al fine di aumentare il potere di acquisto”.
A rischio c’è un settore che ha raggiunto un fatturato di quasi 14 miliardi nel 2022, con l’Italia che è leader mondiale davanti a Francia e Spagna, i due principali competitor a livello internazionale, con una produzione che ha sfiorato i 50,3 milioni di ettolitri grazie all’impegno di 310.000 aziende agricole e un patrimonio di 332 vini a Denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a Denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a Indicazione geografica tipica (Igt).

Focus - Da etichette a falsi, Coldiretti riapre la “cantina degli orrori” a “Vinitaly”: Prosecco il più imitato. Perdite per oltre un miliardo
Quello dei falsi è un mercato molto florido dove i rischi riguardano l’utilizzo delle stesse o simili denominazioni o simili per indicare prodotti molto diversi. Il Prosecco è il bersaglio preferito dai falsari del made in Italy. In Casa Coldiretti a “Vinitaly 2023” è stata riaperta la “cantina degli orrori” dove emergono i casi eclatanti intercettati nel mondo dai “detective” del tricolore: dal Kressecco tedesco al Consecco fino al Merrsecco la fantasia si scatena. Nel circolo vizioso rientrano purtroppo anche il Bordolino argentino nella versione bianco e rosso con tanto di bandiera tricolore al Kressecco tedesco, il Barbera bianco prodotto in Romania e il Chianti fatto in California, il Marsala sudamericano e quello statunitense tra le contraffazioni e imitazioni dei nostri vini e liquori più prestigiosi che complessivamente provocano perdite stimabili in oltre un miliardo di euro sui mercati mondiali alle produzioni made in Italy.
Ma a pesare sono anche i rischi legati alle richieste di riconoscimento di Denominazioni che evocano le eccellenze made in Italy come nel caso del Prosek croato, un vino dolce da dessert tradizionalmente proveniente dalla zona meridionale della Dalmazia, contro la cui domanda di registrazione tra le menzioni tradizionale l’Italia ha fatto ricorso, in virtù del fatto che potrebbe danneggiare il Prosecco.
Dalle etichette allarmistiche ai wine kit, dai falsi al taglio dei fondi per la promozione, il vino italiano è sotto attacco con ripetuti blitz a livello comunitario che penalizzano il settore come il via libera concesso all’Irlanda ad adottare un’etichetta per vino, birra e liquori con avvertenze “terroristiche”. Il giusto impegno dell’Unione per tutelare la salute dei cittadini secondo la Coldiretti non può tradursi in decisioni semplicistiche che rischiano di criminalizzare ingiustamente singoli prodotti indipendentemente dalle quantità consumate. È infatti del tutto improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino. Un approccio ideologico nei confronti di un alimento come il vino che fa parte a pieno titolo della Dieta Mediterranea e conta 10.000 anni di storia e le cui tracce nel mondo sono state individuate nel Caucaso.
Ma il vino made in Italy deve affrontare anche altri attacchi. Un esempio è la scelta della Ue di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol anche nei vini a Denominazione di origine. In questo modo viene permesso ancora di chiamare vino un prodotto in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell’uva in mosto e quindi in vino. Si tratta di un precedente pericoloso che apre la strada all’introduzione di derive che mettono fortemente a rischio l’identità del vino italiano, che è la principale voce dell’export agroalimentare nazionale” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “è in atto una demonizzazione indiscriminata, pilotata da alcune multinazionali, che punta ad affermare un nuovo modello alimentare e culturale che danneggia il settore e mette in discussione storia, cultura e valori fortemente radicati nel cibo e nei vini made in Italy, la dieta mediterranea stessa, patrimonio Unesco e il consumo moderato e responsabile che contraddistingue il vino in Italia”.
Ma tra le pratiche discutibili c’è anche lo zuccheraggio del vino che è ad esempio permesso nell’Unione Europea ad eccezione di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta e in alcune aree della Francia che rappresentano però circa l’80% della produzione comunitaria. Negli Stati Uniti è addirittura consentita l’aggiunta di acqua al mosto per diminuire la percentuale di zuccheri secondo una pratica considerata una vera e propria adulterazione in Italia. Miscele di vini da tavola bianchi e rossi per produrre un “finto rosè” vietate in Europa sono possibili invece in Nuova Zelanda e in Australia. L’Unione Europea però ha dato il via libera anche al vino senza uva con l’autorizzazione alla produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall’uva come lamponi e ribes molto diffusi nei Paesi dell’Est.
L’ultima frontiera dell’inganno, continua la Coldiretti, è nella commercializzazione molto diffusa, dal Canada agli Stati Uniti fino ad alcuni Paesi dell’Unione Europea, di kit fai da te che promettono il miracolo di ottenere in casa il meglio della produzione enologica made in Italy, dai vini ai formaggi. Si tratta di confezioni che grazie a polveri miracolose promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Lambrusco o Montepulciano. Il problema non è legato solo all’utilizzo delle pregiate denominazioni del Belpaese poiché in base alla normativa europea del vino, non è possibile aggiungere acqua nel vino o nei mosti.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli