Giappone e Corea del Sud sedotti dai fine wine italiani… I fine wine italiani piacciono in Estremo Oriente, dove si aprono prospettive di mercato. In particolare, si aprono in Giappone e Corea del Sud, paesi al centro dell’Osservatorio di Nomisma Wine Monitor commissionato da Istituto Grandi Marchi (Igm). I numeri hanno rivelato: “Un quadro più che promettente e hanno mostrato il crescente appeal che il vino italiano di qualità gode anche nel Far East”, dice Piero Mastroberardino, presidente di Igm. La Corea del Sud è un mercato emergente, che negli ultimi cinque anni ha segnato un aumento del 168% nei consumi e del +200% nelle importazioni. Per quanto concerne il Giappone si può parlare di un mercato consolidato, visto che il consumo da anni è pressoché stabile a tre milioni di ettolitri. Mentre, si ha un lieve calo nelle importazioni (-3%) supportato, però, da un aumento medio del valore delle etichette del +47%. Per quanto riguarda i comportamenti di consumo, il 45% dei giapponesi che consuma abitualmente vino è composto per i149% da baby boomer. In Corea del Sud, invece, beve vino il 39% della popolazione: la Gen Z incide per il 46%. Prezzo e territorio di provenienza fanno la differenza nelle scelte di acquisto: i più venduti sono i rossi toscani e piemontesi, con i vini dop che hanno vendite per 95 min in Giappone e 35 min in Corea del Sud. Spiega Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor: “La leadership è detenuta dalla Francia col 58% delle importazioni di vini in Giappone e il 35% in Corea del Sud; tuttavia, il 21% dei consumatori giapponesi prevede di aumentare, nei prossimi tre anni, il consumo dei fine wine italiani, a fronte invece di un 7% che presume di ridurli. In Corea del Sud le prospettive sono ancora più rosee: quasi un consumatore su due pensa di aumentarne l'acquisto, contro un 17% di chi invece immagina di ridurli e un 9% che non cambierà abitudine”.
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