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Italia Oggi

L’Alto Adige, champagne dello Stivale … L’Alto Adige vuole diventare la Champagne d’Italia oltre che specializzarsi in bianchi da invecchiamento. Ma rischia di perdere la propria identità dal momento che è stato tolto il 98% dei vigneti con l’uva Schiava, vitigno autoctono che per secoli ha caratterizzato la produzione altoatesina. Schiava e Lagrain, altro autoctono, pesano per il 20% della superficie vitata, mentre il grosso dello spazio è dato agli internazionali Chardonnay, Sauvignon, Pinot Nero, Cabernet e Pinot bianco. “Vogliamo candidare l’Alto Adige a diventare il punto di riferimento del metodo classico, il 90% del nostro territorio è adatto a produrre vi no per base spumante”, ha detto Joseph Romen, presidente dell’associazione vini spumanti altoatesini, dieci produttori per circa 400mila bottiglie all'anno, in occasione della presentazione dei vini iconici dell’Alto Adige. “Abbiamo anche approvato una modifica al disciplinare e adesso sarà possibile produrre spumanti soltanto con metodo classico”. L’Alto Adige ha una superficie vitata di 5.600 ettari, il 98% caso unico in Italia, è Doc. Negli ultimi anni la produzione di Schiava si è attestata all’11% del totale di 320mila ettolitri (40 milioni di bottiglie) prodotti nella regione dove il 64% è vino bianco. Una zona che cambia pelle a causa anche dei cambiamenti climatici che spingono a cercare terreni a quote sempre più alte, anche dove fino a qualche anno fa non si coltivava la vite che oggi si posiziona dai 200 ai mille metri sul livello del mare. “Cambiamenti che tuttavia, in alcuni casi, hanno fatto bene. Adesso il Cabernet Sauvignon viene bene dove, invece, fino a qualche anno fa non veniva”, spiega Romen. Una risposta ai cambiamenti, l’Alto Adige la cerca anche nei vitigni resistenti ammessi alla coltivazione dal 2009. Oggi i vitigni Bronner e Solaris occupano lo 0,5% della superficie vitata altoatesina.

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