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Italia Oggi

Vignaioli, uno stile etico di vita. Riflessioni, passioni e insegnamenti di un grande esperto ... Lui non è certo persona il cui giudizio passa inosservato, anzi. Tanti lo temono, altrettanti lo stimano incondizionatamente, tutti ne apprezzano l'immediatezza e la franchezza di giudizio e l'approccio positivo alle cose della vita. D'altronde non è un caso che Daniele Cernilli, condirettore del Gambero Rosso e curatore, da 19 anni, della Guida dei Vini edita dall'omonima rivista, sia, con le sue radici, assai lontano dal mondo del vino di cui è uno dei più ascoltati maitre à penser.
Le sue «origini» sono innestate nella filosofia, materia in cui si è laureato. Da quei trascorsi, frammisti di Aristotele e di Bordeaux, di Presocratici e di Brunello di Montalcino, Cernilli ha derivato una severa tecnica, che però non è mai paludata, anzi si fa «umana», quasi viscerale e quindi più immediata nelle centinaia di incontri con i vini e con chi li produce. Ora, dopo una serie infinita di schede di valutazione e scritti tecnici sul vino, si cimenta per la prima volta in un'opera più complessa, quasi una summa degli oltre vent'anni di incontri di uomini e vini. Un'opera, va detto subito, non paludata, né tecnica, ma immediata e «di cuore» questo «Memorie di un assaggiatore di vini», appena edito da Einaudi Stile libero.
Un volume partigiano, come ammette lo stesso Cernilli, che indica i suoi «cinquanta vini da sballo» e i 12 da portare a bordo di un'ipotetica arca. Un libro divulgativo, «che farà storcere il naso a tanti esperti», mette le mani avanti l'autore. Ma è così avvincente e agile, che intriga chi ama il vino e vorrebbe saperne di più, guidato dalle soggettive passioni dell'autore, che viaggiano veloci dalle regioni francesi, alla Toscana, dalle Langhe alla California, per tornare in Sicilia, passando da Friuli e Trentino. Giudizi mai invadenti e sempre aperti al confronto, ma dai quali emergono, attraverso il «non detto», le «non passioni» dell'autore. Non lo cogli impreparato, quando gli chiedi se il suo mondo del vino è un piacere, un lavoro o un'estensione dello spirito.
«È prima di tutto un piacere», sostiene con forza, «poi un lavoro; non so se è un'estensione dello spirito. Non è certo un fatto ideologico, ma aiuta a vivere e fa conoscere tante persone, che, mi si creda, sono assai migliori della media. Molti produttori vivono il loro lavoro, in campagna e in cantina, come un fatto etico».
Domanda. Però il mercato è un fatto concreto, che lascia poco spazio alla visione etica della vita.
Risposta. È vero, ma esistono nicchie che non funzionano con le caratteristiche del mercato. Sono come i fiumi, fatti di correnti, di mulinelli, hanno insomma percorsi spesso imprevedibili.
Domanda. Molti leggono il fenomeno vino come una moda, che poi passa.
Risposta. Non passa. I numeri lo testimoniano. Il cosiddetto made in Italy non è una moda; è un settore portante dell'economia, che tutto il mondo ci copia. Il vino ha la stessa valenza di qualità e di immagine. Ce lo invidiano in tanti, lo copiano, ma non possono competere con la nostra cultura, il nostro territorio. Non è un caso che i vini italiani abbiano risuperato quelli australiani negli Stati Uniti. Se la leva del prezzo ci ha danneggiato, ora negli States si rivaluta la qualità, anche quella media, che poi è la spina dorsale del nostro export. Si vede l'anima dei nostri vini, il loro carattere, la loro diversità. Insomma, vendiamo uno stile di vita.
Domanda. Eppure il confronto con il mercato è fondamentale.
Risposta. Certo. Ed è una prova difficile. Da soli, tanti piccoli e medi produttori non sarebbero in grado di affacciarsi sui mercati esteri. Ecco perché sono importanti i consorzi di tutela, le camere di commercio, istituti come l'Ice. Ora, con la guida di Umberto Vattani, uomo di grande spessore culturale e di ampia esperienza internazionale, speriamo che l'Ice si attrezzi con una struttura ad hoc dedicata al vino, per aiutare chi produce a districarsi tra una ragnatela di leggi, tasse, monopoli.
Autore: Giorgio Bertoni

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