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Italia Oggi

Quel chip Rfid è un infallibile sommelier ... Un dispositivo del costo di 15 centesimi inserito in ogni tappo di bottiglia garantisce il consumatore su tutti i passaggi effettuati nelle diverse fasi e protegge il produttore dai tentativi di contraffazione. Per leggere i dati basta un palmare. Le etichette intelligenti trovano le prime applicazioni su larga scala nel settore agroalimentare... Nonostante difficoltà e diffidenze, lo sviluppo delle applicazioni basate sulle tecnologie Rfid (radio frequency identification) continua in maniera decisamente sostenuta e anche l’Italia si sta adeguando. L’Rfid è un sistema costruito da un microchip, dotato di antenna (il tutto viene denominato tag o etichetta), di dimensioni ridottissime, che può essere attaccato a pressoché qualsiasi oggetto. Un lettore emette onde radio per comunicare con l’etichetta che è stata posta sull’oggetto e riceve da esso informazioni, che vengono poi in varia maniera elaborate. Si tratta della gamma di tecnologie che sta mandando in soffitta il codice a barre, con risparmi di costi e di tempi notevoli in una moltitudine di settori, dalla gestione di magazzini alla biglietteria elettronica, dalle carte di credito alla rilevazione di possibili colpi esterni inflitti alle merci. I vantaggi rispetto al classico codice a barre sono innumerevoli: innanzitutto il tag può essere anche all’interno della merce per poter passare le informazioni richieste al lettore, sebbene se la distanza a cui l’etichetta può comunicare varia dalla frequenza utilizzata; la lettura degli oggetti avviene in maniera molto più veloce (nell’ambito di una limitata frazione di secondo) e può avvenire contemporaneamente per una grande quantità di etichette, a seconda dei chip utilizzati. Inoltre in molti casi, con i cosiddetti chip read/write, è possibile aggiornare le informazioni in esso contenute, consentendo così un controllo dell’evoluzione di prodotto lungo tutta la filiera manifatturiera e distributiva.
Proprio nel campo della tracciabilità si trovano potenzialità di sviluppo molto interessanti per un settore chiave dell’economia italiana, che ha bisogno di un notevole incremento di competitività, ossia l’agroalimentare. E sono già diverse le realtà nazionali che manifestano la consapevolezza che l’Rfid possa diventare un autentico strumento di protezione e valorizzazione dei marchi del made in Italy. Spiega infatti Cesare Ferro, direttore generale di Softwork, distributore in Italia di tecnologie e soluzioni Rfid completò e integrate: «Applicando un’etichetta si può avere la storia di ogni singolo prodotto: si tratta di un’ottima soluzione per beni ad alto valore aggiunto quali formaggi, vini e prosciutti, per fornire in maniera certa e trasparente informazioni sulla loro origine». In pratica si tratta di un metodo per garantire la trasparenza della filiera di ciò che si sa vendendo. Dunque da una parte Rfid sembra la soluzione migliore per ottemperare alla direttiva 178 dell’Ue, che prevede dal gennaio del 2005 la tracciabilità per tutti i prodotti agroalimentari, dall’altra viene fornita a distributori e consumatori finali l’opportunità di accedere a una serie di informazioni su ciò che è stato comprato. Basta prendere per esempio il caso del vino: tramite un lettore contenuto in un cellulare o in un palmare l’acquirente può ottenere una serie di informazioni contenute nel tag inserito nel tappo della bottiglia. Oltre a tutta la filiera della bottiglia vi si possono trovare altre notizie, fatto che potrebbe rendere questo tipo di etichette un ulteriore strumento di promozione per le stesse aziende.
Quali sono dunque le potenzialità di sviluppo future nel settore agroalimentare? Ferro ricorda che «la domanda si concentra soprattutto nella fascia a maggiore valore aggiunto, a causa dei costi dell’applicazione di un tag a ogni singolo oggetto prodotto. È difficile che ci sia convenienza, per esempio, a utilizzare soluzioni Rfid su ogni singola scatoletta di pelati». Per quanto riguarda i costi ovviamente essi variano dal tipo di tag utilizzato: ad ogni modo in molti casi si può parlare di prezzi compresi fra 18-20 centesimi di euro a pezzo per partite di 3-4milioni di chip a 13,56 Mhz di frequenza, e 12-15 centesimi al pezzo per la stessa quantità di tag Uhf che lavorano a 868/915 Mhz. Questi ultimi, tra l’altro, si stanno affermando sempre di più anche in Europa dopo avere trovato popolarità soprattutto negli Usa. Sempre Ferro porta un esempio concreto riferito all’industria del vino: «Per i vini di gamma pregiata le etichette servono, oltre che a garantirne la filiera, anche come sigillo, per registrare tentativi di contraffazione. Per la fascia medio-alta le etichette vengono applicate a ogni singola bottiglia a scopo di tracciabilità, mentre per i livelli più bassi i tag vengono inseriti su casse o pallet». Quanto ai comparii che possono essere direttamente coinvolti, «abbiamo realizzato un progetto di etichettatura per il Consorzio prosciutto San Daniele», aggiunge Ferro, «siamo in fase di studio anche con diversi produttori di formaggi»...

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