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Italia Oggi

Le Aziende spremono più Utili ... Secondo Mediobanca, il fatturato dello scorso anno dei maggiori gruppi vinicoli è cresciuto del 5% L’incremento maggiore messo a segno dalle imprese familiari... Il mercato del vino italiano ha ricominciato a crescere. Nel 2006 il fatturato delle maggiori società del settore prese in esame dallo studio annuale di Mediobanca mostra un fatturato in crescita del 5,1%. Sono ancora i marchi Tavernello e Castellino a guidare la pattuglia italiana delle aziende vinicole. La cooperativa faentina Caviro, che commercializza le due etichette, si è confermata anche per il 2006 il maggior produttore in termini di fatturato, con 280 milioni di euro e un valore della produzione che ha sfiorato i 300 milioni di euro.
Primo in Italia ma piccolo rispetto ai grandi produttori internazionali. Gli americani di Constellation Brands, per esempio, hanno un fatturato intorno ai 4 miliardi di dollari, di cui 2,7 miliardi provenienti dal settore vinicolo. In Italia, invece, ci sono appena Caviro e Giv che superano i 200 milioni di fatturato, seguite da Cavit (172 milioni), Giordano (135 milioni), Antinori (123,8 milioni) e Gancia (106 milioni). Sei in tutto, dunque, le case con un fatturato superiore ai 100 milioni di euro.
L’Italia del vino continua a essere formata da realtà piccole e piccolissime, nonostante il paese rappresenti il secondo produttore al mondo, dietro la Francia, con una quota del 18% del mercato globale e un giro d’affari che è stimato in poco meno di 10 miliardi di euro. “Le piccole medie aziende continueranno a essere la spina dorsale”, sottolinea Gianni Giordano, consigliere della Ferdinando Giordano. “I grandi operatori potranno effettuare acquisizioni di piccole realtà ma non intravedo la possibilità di aggregazioni tra grandi aziende come è invece avvenuto a livello internazionale nel caso Constellation-Beringer”.
Le aziende italiane, infatti, non sembrano troppo interessate alla crescita per linee esterne. Si limitano a piccole operazioni e, dopo timidi avvicinamenti al mondo della finanza qualche anno fa, hanno battuto quasi tutte in ritirata scegliendo di andare avanti con i propri mezzi. “Le aziende hanno grande bisogno di capitale per acquistare terreni, vigneti, strutture produttive, ma anche per investire nella filiera produttiva e nella distribuzione”, riconosce Emilio Pedron, amministratore delegato di Giv, Gruppo italiano vini, “ma il vino ha bisogno di tempo e non ha quei margini e quei ritorni rapidi che la finanza richiede”. Dall’ultima ricerca di Mediobanca sul settore, pubblicata pochi giorni fa, emerge qualche segnale in controtendenza, soprattutto per le aziende familiari.
I dati del 2005 mostrano un utile netto in progresso del 26%, il più alto degli ultimi cinque anni. Il rendimento del capitale impiegato è rimasto sostanzialmente invariato con un roi attestato al 7,7% (7,6 nel 2004), mentre grazie soprattutto alle minori imposte il roe è passato dal 6,8 all’8,9% del 2005. Distinguendo le società per assetto proprietario, evidenzia lo studio Mediobanca, si nota la minore redditività delle cooperative che, come è ovvio, mancano di buona parte delle fasi produttive a monte della filiera: i soci, infatti, producono uve e vino che conferiscono alla cooperativa per l’ulteriore lavorazione e la vendita. Se si considerassero solo le società non cooperative a controllo nazionale, invece, il rendimento sul capitale nel 2005 sarebbe stato del 9,7% e il roe all’11,3% contro il 9,1 e 7,8% del 2004.
La particolare struttura delle aziende vinicole ha fatto sì che non siano mai state considerate alla stregua di vere società e anche la finanza sembra ancora lontana. L’unica realtà che in questi ultimi anni ha visto entrare un fondo d’investimento è la Cantina Masi che l’anno scorso ha aperto le porte all’Alcedo sgr a cui ha ceduto il 28,5% delle quote: “Mi trovo molto bene”, spiega il presidente della società vinicola, Sandro Boscaini, “il fondo ha portato controllo finanziario ed efficienza amministrativa”. Il caso della Masi era quello tipico di un passaggio generazionale, dove una parte dei soci chiedeva di crescere mentre un’altra guardava soprattutto ai dividendi e ha preferito uscire. “Alcedo ha sposato la nostra filosofia e il nostro business plan, che prevede una crescita per linee interne aggressiva con incrementi del fatturato del 10% l’anno per i prossimi esercizi e l’acquisizione di piccole e medie realtà di qualità”. Approdo finale la borsa? “Non è esclusa”, ammette Boscaini. Se andasse in porto sarebbe la prima quotazione di un’azienda vinicola a piazza Affari: un’eccezione in una realtà dove le imprese si dividono fra aziende familiari (due terzi del totale) e cooperative. Intanto le vendite hanno ricominciato a crescere facendo segnare un +5,1% grazie soprattutto all’export (+7,3%) e a una buona tenuta dei consumi interni (+3,3%). Rispetto agli anni di magra negli ultimi due esercizi, un incremento dello 0,3% nel 2005 e dell’ 1,3% nel 2004, si è trattato di un successo. Spiccano in particolare le performance di Giordano (+18%) e quelle di Frescobaldi (+17%). “Fino al 2004 la crescita è stata essenzialmente interna”, sottolinea l’azienda fiorentina. “Nel 2005, poi, il gruppo Frescobaldi ha consolidato due importanti società, Ornellaia e Luce della Vite, ora controllate attraverso la subholding Tenute di Toscana, nata nel maggio del 2006. Sul piano interno, inoltre, la crescita è dovuta a scelte strategiche volte al continuo miglioramento della qualità, della percezione e della distribuzione a un miglior sfruttamento dei prodotti strategici e delle organizzazioni di vendita”.
La ricetta di Giordano, invece, è stato un attento controllo dei prezzi che sono rimasti invariati dal 2003. Gancia, il re degli spumanti, ha puntato molto sulla differenziazione. E il presidente Umberto Vallarino Gancia a ripercorrere gli ultimi tre anni: “Dal 2003 ad oggi siamo passati dal mono prodotto al multiprodotto. La nostra famiglia, che è legata allo spumante, ha messo in atto una strategia mirata alla valorizzazione dei vini di alta qualità espressione delle zone vitivinicole più vocate”. Per il 2007 non mancano i motivi di ottimismo: “Il mercato è selettivo ma molto interessante”, sottolinea Enrico Chiavacci, direttore vendite di Marchesi Antinori, “anche perché stanno arrivando vini da 10-15 euro la bottiglia con un rapporto qualità/prezzo davvero interessante”.
Qualche preoccupazione, comunque, c’è: “Il problema principale”, sottolinea Emilio Pedron, amministratore delegato di Giv, “è l’eccedenza produttiva mondiale che genera tensione sui prezzi”. “Sono tre anni che è in atto una flessione del prezzo medio”, lamenta Sergio Dagnino, direttore generale di Caviro: “Oggi il Tavernello soffre la concorrenza di vini che prima erano in bottiglia a 3 euro e ora sono venduti a meno della metà”. Anche per questa ragione le aziende vanno sempre più a caccia di nuovi mercati, dall’india alla Cina, che rappresentano ancora delle scommesse, passando per Russia ed Europa dell’Est che, invece, sono già certezze. “Sono ottimista”, sostiene Pedron. “L’Australia, che qualche anno fa aveva invaso gli Stati Uniti, si è fermata Lo stesso il Cile. I nostri vini, più eleganti, vanno più incontro al gusto di un consumatore attento alla qualità”.

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