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Italia Oggi

L’export di vino cresce, ma restano molte criticità ... Ogni mercato ha problemi diversi da risolvere, come emerso al Vinitaly... L’export di vini italiani sta andando molto bene. L’ultima conferma è venuta dal recente Vinitaly. Quasi tutti i mercati di riferimento stanno dando concreti segnali di ulteriore ripresa, dopo quella del 2006. Il dato è estremamente positivo, ma va ben analizzato. Allora saltano all’occhio alcune criticità, che vanno superate presto, se si vuole consolidare il trend di crescita. La prima è strutturale: le e vendite all’estero sono in gran parte frutto della capacità di penetrazione di alcuni vini, di alcuni territori, di molti singoli produttori. Manca insomma un sistema che veicoli il marchio Italia su mercati lontani, noti o emergenti, nonostante gli sforzi di Ice, Buonitalia o, per quanto le compete, Vinitaly, che ogni anno realizza specifiche missioni all’estero, portando con sé decine di produttori. Un’altra criticità viene dall’approssimativa conoscenza tecnica che molti produttori hanno dei paesi in cui vorrebbero sbarcare. Se l’operazione è abbastanza facile in Europa, ha già qualche criticità in Usa (l’export negli States passa attraverso 50 leggi federali diverse e i vini esteri, alla fin fine, si bevono principalmente sulla costa Est e su quella Ovest, non certo nel Mid West).
Se poi si viaggia in Oriente, le cose si complicano. Con insistenza, molti osservatori cercano di disegnare un’area pronta a essere invasa da fiumi di vino. Non è affatto così: in Giappone sta tornando l’interesse per i vini italiani, ma i numeri non sono altissimi, sia per i farti dazi doganali, sia per lo strapotere dei cugini francesi sia per il basso consumo divino dei nipponici. Il vino copre infatti solo il 6% del consumo di alcolici in Giappone ed è presente soprattutto nei ristoranti e nei grandi magazzini di alto livello.
La Cina è un mercato sostanzialmente vergine.
Ai quasi inesistenti consumi pro Capite si abbinano gli alti dazi d’ingresso, la concentrazione dei consumi in alcune aree, come Shanghai e Hong Kong, la quota di consumo di vini nazionali pari a oltre il 90% del totale. Inoltre, sono quasi assenti i ristoranti italiani, naturale veicolo di conoscenza del vino italiano all’estero. Infine l’India: i problemi d’ingresso sono simili a quelli della Cina. Il mercato potenziale è enorme, ma oggi non sono più di 200 mila (e tutti di fascia molto alta) i consumatori di vino estero, prevalentemente in ristoranti e in alberghi di livello, anche se gli osservatori locali stimano che entro pochi anni il mercato si possa allargare a 10-20 milioni di consumatori.
Non ultimo problema è dato dalla leva del prezzo, soprattutto in mercati maturi come Europa e Stati Uniti. Prezzi moderati e altissima qualità, indicano tutti i buyer, sono le armi con cui contrastare la concorrenza extraeuropea.
Questo, dunque, è il quadro generale, così come è emerso anche in una serie di incontri organizzati nell’ambito di Vinitaly, in vista delle missioni estere che la rassegna veronese organizzerà sui mercati esteri. Sta ora al sistema vino italiano saper capire queste criticità e porvi rimedio; solo dal rafforzamento dei mercati potranno venire quelle solide sicurezze che ora sono gracili speranze.

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