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Italia Oggi

Il dolcetto tenta il rilancio con un nuovo look ... Sui mercati nazionali ed esteri si sono imposti, in questi anni, soprattutto quei vini “rossi” piemontesi dotati di buon grado alcolico e di acidità perché queste sono le caratteristiche maggiormente richieste anche per le bottiglie che arrivano da altre regioni. Un’altra opinione riferisce che, sempre in Piemonte, sono state fatte scelte strategiche programmate per sostenere soprattutto alcuni vini e non altri e, sicuramente, come fanalino di coda è rimasto il dolcetto la cui fama esiste come se si trattasse di un illustre personaggio passato alla storia, ma in tavola, nei ristoranti, nei wine-bar, nelle enoteche e negozi specializzati non sempre viene presentato con il rilievo che meriterebbe. Ora si intende correre ai ripari e costruire, intorno a questo vino che avrebbe origini liguri ma viene da secoli coltivato nel Basso Piemonte dall’Albese fino all’Ovadese passando per l’Astigiano e il Monferrato, un nuovo look. Di dolcetto ne esistono una dozzina di tipologie fra doc e docg con nomi altisonanti che vanno da quelli famosi di Alba, Diano d’Alba e Dogliani, Ovada (gli ultimi due con la “docg”) per una produzione complessiva che si aggira intorno ai 31 milioni di bottiglie. Buona parte delle quali hanno un mercato concentrato nelle regioni del Nordovest, all’estero ne va poco e, in genere, adattato anche ai gusti dei consumatori stranieri. Il che è, per alcuni, un fatto oggetto di dibattito. Sta di fatto che già anni fa vennero ideati i dolcetti “Superiore” come quelli di Diano e Dogliani con un grado alcolico più elevato rispetto alla media dei 12- 12,5° e tutto ciò, spiegarono, per venire proprio incontro ai palati di tedeschi, svizzeri e altri amanti del vino soprattutto anglosassoni. Il risultato fu il riconoscimento della “garantita”, come abbiamo detto, per il “Dogliani” e l’ultima, in ordine di tempo, di quello di Ovada. Le caratteristiche di fondo e “storiche” sono rimaste sostanzialmente intatte: il dolcetto è un vino di sapore morbido e amabile, in altre parole bello “rotondo” per usare un termine in voga nella regione. Ideale quindi da tutto pasto e non impegnativo che “non se la lira come altri “rossi”, per usare la definizione adottata dalla Coldiretti. Proprio quest’ultima si è fatta promotrice di un progetto di rilancio che partirà nei prossimi mesi in cui è stato coinvolto l’Ima, l’Istituto regionale per il marketing agroalimentare, che farà da capofila, e i quattro consorzi di tutela del Barolo e Barbaresco, di Ovada, Acqui Terme e di Asti e dei vini del Monferrato. Anche le aziende sono state sensibilizzate. Si prevedono iniziative promozionali di vario tipo dopo aver constatato, in un primo studio effettuato nei mesi scorsi, che sia ai giovani che ai consumatori più maturi il dolcetto può avere una potenzialità d’impatto superiore a quella attuale essendo un prodotto “accessibile e non impegnativo”, cioè si abbina pure ai diversi piatti siano essi della cucina piemontese come di altre regioni. Il motto è quindi di ridare fiato e visibilità a un vecchio e autorevole signore caduto, qualche volta, nell’oblio. Abbiamo già visto alcuni dei motivi che hanno costituito un handicap al quale si aggiunge il nome tant’è che molti, spiega, per esempio, Tonino Verro, produttore di Neive nell’albese e titolare della “Vecchia Contea”, tra i ristoranti più noti delle Langhe, pensano si tratti di un vino dolce mentre, in realtà, è secco per eccellenza che può avere un mercato più ampio ma fatto conoscere meglio e con professionalità. “La fascetta regionale di controllo”, precisa un altro produttore, Flavio Saglietti di la Morra sempre nell’Albese, “dovrebbe tutelare anche meglio il consumatore con regole alle quali i vignaioli dovranno attenersi”. Il progetto dolcetto sarà presentato ufficialmente alla stampa prima dell’autunno.

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