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Italia Oggi

Si annacqui il vino, pur di vendere ... L’Europa consentirà di dealcolizzare i vini. Senza spiegare come... Per le menzioni tradizionali dei vini di qualità in etichetta non cambierà molto, ma si apre la possibilità
di dealcolizzare i vini e utilizzare la dicitura “European community wine”. Per aggredire i mercati e soddisfare i gusti dell’Estremo Oriente. Nulla si dice invece sui processi per la riduzione del tenore alcolico del vino e sulle percentuali di riduzione dell’etanolo. Dalla lettura delle tre proposte di regolamento comunitario per la riforma delle pratiche enologiche, dell’etichettatura e delle denominazioni d’origine, ormai in dirittura d’arrivo (la pubblicazione è prevista per la fine dell’anno), emergono ancora diversi nodi da sciogliere. I provvedimenti, una volta approvati, segneranno una svolta nell’Organizzazione comune di mercato del settore.

Dealcolizzazione dei vini. Viene proposta la possibilità di ridurre la gradazione alcolica del vino senza però definire come questo possa essere fatto e in che misura (spetta all’Oiv). Manca, infatti, una chiara e precisa definizione del processo applicabile e che questo deve essere effettuato con
continuità. Non è specificata la percentuale
massima di riduzione di etanolo, che
non dovrebbe
essere comunque
superiore al 2% e non viene richiesta la consegna
in distilleria dell’alcool o la specificazione della sua destinazione. Inoltre, vanno chiariti due aspetti, che anche per la zona C il tetto inferiore raggiungibile deve arrivare a 8,5%vol e che non è applicabile ai vini spumanti, frizzanti e liquorosi. Indicazione di provenienza. Come anticipato, sarà possibile per gli stati membri mantenere le «menzioni tradizionali, quelle che in Italia sono le Docg, le Doc e le Igt. Quello che anche qui deve essere precisato sono gli elementi differenziali per quanto riguarda le procedure di riconoscimento delle Do e Ig. Per quanto riguarda invece la protezione dei marchi collettivi, se l’idea è quella di tutelarli dalle imitazioni, non vengono però fissati dei “paletti”, come dei limiti temporali per l’accettazione o rifiuto delle domande di protezione o per le loro modifiche da parte della Commissione. Né viene previsto, sempre ai fini della tutela che i vini stranieri importati nella comunità presentino le stesse garanzie, gli stessi elementi delle domande di protezione per i prodotti comunitari, quali il rendimento massimo per ettaro e le varietà di uva. Allo stesso modo devono essere effettuati i medesimi controlli sui prodotti comunitari e non.
Etichettatura. La questione per l’Italia ruota tutta attorno alla dicitura “vino comunitario”. Questa dicitura si riferisce indistintamente a prodotti di vario tipo a miscele di vini di diversi paesi o a vini prodotti in un paese da uve raccolte in un altro paese, inducendo, così, in confusione il consumatore. La definizione va a sostituire la precedente definizione “melange” di vini di diversi paesi della Comunità europea. La questione è, effettivamente, sottile. La preoccupazione dei produttori italiani è che questa definizione possa indebolire l’identità produttiva e trarre in inganno il consumatore, poiché alcune aziende produttrici estere potrebbero celare dietro un “marchio italiano” e un’indicazione cli provenienza “comunitaria” un vino prodotto da blend di prodotti vitivmicoli non italiani.

Reazioni. I1 vino dealcolizzato snatura il prodotto. Per Confagricoltura, la prima a lanciare l’allarme sull’ultima proposta della Commissione Ue, “si rischierà cli produrre con tale tecnica “vini alcol free”, già oggi prodotti e commercializzati in alcuni paesi terzi, che potrebbero recare danni di immagine e percezione al vino “tradizionale””. Anche per Cia si rischia “di provocare pesanti contraccolpi per l’intero settore vitivinicolo”. Favorevoli i consumatori. Per Aduc: “La corporazione dei produttori vorrebbe impedire libertà di scelta e di mercato”.

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