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Italia Oggi

Cirò pensa in grande ... Il vino calabro vuol crescere ovunque... Stratega per l’export. Ma la produzione scende di 10 mila ha... Nell’antichità Cirò si chiamava Cremissa o Krimisa. E il suo vino, arrivato probabilmente insieme ai Greci e ad altri vitigni tipici del Sud Italia, prendeva il nome da questa località e finiva per coronare il trionfo degli atleti vittoriosi ai giochi di Olimpia. Nella Calabria, che per molti anni ha più sofferto per l’abbandono delle campagne e dei vigneti, il Cirò è diventato la voce più importante di un’enologia che sta riscoprendo poco alla volta le proprie origini puntando a una maggiore caratterizzazione territoriale e alla qualità. Ma il vino viene usato anche come cavallo di Troia, in grado di permettere la penetrazione sui mercati nazionali ed esteri di tutti gli altri prodotti di qualità della regione. E, in particolare, dei prodotti tipici della provincia di Crotone. Formaggio pecorino, latticini olio e miele stanno andando a traino del Cirò. L’occasione di parlare di questi argomenti si è presentata recentemente nel corso di alcune degustazioni organizzate dalla locale Camera di commercio d’intesa con altre organizzazioni tra cui l’Onav. Ma tornando al Cirò, di questo vino si produce il “rosso” che ha origine dal Trebbiano toscano (per il 5%) e dal Gaglioppo, autoctono calabrese, il “bianco” che si ottiene sempre dal Trebbiano (10%) e dal Greco e il “rosato” ottenuto sempre dal Gaglioppo e dal Trebbiano (5%) parzialmente vinificati in bianco. In totale, 35.244 ettolitri per l’annata 2007 e 25.022 ettolitri fino a dicembre di quest’anno. Vini di spiccata struttura e grado alcolico, profumi gradevoli e delicati che per venire incontro alle esigenze del mercato si sono adattati, in molti casi, alle nuove tendenze enologiche. “Proprio perché”, sottolinea il presidente della stessa Camera di commercio, Roberto Salerno, “nell’era della globalizzazione della sfida competitiva non basta affidarsi solo alla tradizione e alla tipicità di un prodotto ma serve anche l’innovazione”. Ne è una dimostrazione il fatto che anche per questi vini è stato introdotto, in alcuni casi, l’uso della barrique similarmente a come è avvenuto in altre regioni. Il pensiero corre al Brunello di Montalcino, al Barolo e allo stesso “Taurasi”, tanto per restare al Sud e come si vede tutti hanno seguito, indistintamente, lo stesso percorso. Sulla strada dell’innovazione e di una carta d’identità più precisa si stanno muovendo i viticoltori della doc “Melissa” e dell’Igt Val di Neto prodotti sia “rossi” sia “bianchi”. Il Cirò resta comunque l’ala di punta dell’enologia regionale. Oggi viene consumato per la maggior parte in Calabria, fatta esclusione per alcune aziende che sono riuscite, anticipando i tempi, a sfondare anche in altre regioni all’estero trovando collocazione nella carta dei vini di prestigiosi ristoranti. Ma si tratta di eccezioni. La parte pi consistente, fa rilevare ancora Salerno, necessita di un sopporto importante che sono il marketing e la commercializzazione. “Traguardi che vanno raggiunti nel più breve tempo senza dover ricorrere”, chiosa con una punta di orgoglio, “alla docg perché già la stessa doc è un garanzia di quello che c’è dentro la bottiglia”.

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