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Italia Oggi

La pubblicità non influenza il rating dei vini ... Il vino è un prodotto particolare. Gli economisti lo
classificano tra i cosiddetti experience goods, prodotti legati all’esperienza del consumatore. Ma i vini offerti sul mercato sono moltissimi, un caso di concorrenza perfetta data la varietà di vitigni e di produttori dispersi nei vari paesi. Per orientarsi in questa Babele enologica i consumatori spesso
preferiscono utilizzare fonti esterne di valutazione: esperti che assegnano punteggi di qualità o premi ai diversi vini. Un vero e proprio rating come accade per i titoli di stato o le imprese da finanziare. Per questa ragione l’imparzialita e l’indipendenza di chi assegna i rating nel mercato
dei vini è importante quanto nel caso dei mercati finanziari; ma molto spesso nel caso dell’enologia coloro che valutano la qualità delle varie bottiglie sono anche editori di riviste specializzate. Potrebbero, quindi, essere influenzati nell’assegnare i giudizi dal fatto che l’azienda valutata abbia o meno fatto pubblicità sulla rivista. È così davvero? Un recente studio di un economista americano, Jonathan Reuters “Does Advertising Bias Product Reviews? An Analysis of Wine Ratings”, Journal
Economics (2009), ha provato che nel caso della più diffusa rivista al mondo non si registra alcuna anomalia. Wine Spectator, infatti, non distorce la sua assegnazione dei punteggi dei vini, di volta in volta segnalati ai lettori sulla base della pubblicità raccolta. Il vantaggio dei vini che hanno acquistato spazi pubblicitari rispetto ai non inserzionisti sulla rivista è di appena un punto percentuale, una volta che le differenze qualitative dei vini sono state aggiustate prendendo come riferimento il giudizio assegnato dal Wine Advocate (che non raccoglie pubblicità). Fare pubblicità
non migliora la probabilità di avere un elevato punteggio da parte di Wine Spectator. E la
stessa situazione si ripete nel caso dei premi assegnati dalla rivista alle migliori bottiglie: non sono correlati alla pubblicità fatta dai produttori. Tutto ciò significa, almeno nel caso americano, che i consumatori di vino possono considerare le varie diverse fonti informative, rating, premi assegnati e pubblicità, come tra loro indipendenti e quindi, in maniera distinta, come attendibili per orientare le scelte di acquisto. È un segnale della professionalità raggiunta dal mercato del vino. Un’industria sempre più sofisticata e sempre più internazionale dove gli spazi di dilettantismo si sono fatti davvero minimi. Una lezione anche per i produttori italiani da tenere bene a mente per sfondare sul mercato americano, ormai il principale mercato di consumo al mondo: conta più la qualità del prodotto che non le attività lobbistiche collaterali per influenzare i giudicatori. Il consumatore è ormai maturo e nessuno è più in grado di turlupinarlo con giudizi taroccati, pena la credibilità stessa della pubblicazione.

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