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Italia Oggi

Uk, il mercato competitivo di frontiera del vino globale ... L’ultimo biennio è stato straordinariamente difficile per il mercato del vino inglese, cioè quello più globalizzato al mondo. Prodotto interno lordo e consumi in caduta libera, sterlina svalutata a doppia cifra sull’euro, disoccupazione tornata elevata e le nuove pesanti imposte del governo Brown hanno trasformato la recessione economica in un banco di prova davvero difficile per i venditori di bottiglie a Londra e dintorni. Già i margini di guadagnano erano estremamente ridotti prima della crisi, ora fare profitti vendendo vino agli inglesi si è trasformato in un esercizio da trapezista del circo. Il mercato vinicolo inglese ha alcune caratteristiche peculiari a livello internazionale. Vanta circa 60 milioni di consumatori con una forte propensione a bere prodotti alcolici e con un reddito pro capite tra i più alti al mondo, che a partire dagli anni ottanta, soprattutto nelle metropoli, hanno iniziato a scoprire il vino. A livello di grande distribuzione, iper e supermercati e negozi, il segmento off-trade, si acquista la gran parte del vino consumato nel Regno Unito, circa 98 milioni di casse da nove bottiglie all’anno, mentre nei ristoranti e pub, il cosiddetto on-trade, nel 2009 sono state acquistate 16 milioni 250mila casse equivalenti. È un mercato cresciuto negli anni recenti, considerato che soltanto cinque anni prima nel 2004 aveva consumato off-trade 87 milioni di casse. Ma è un mercato estremamente competitivo, perché i volumi si fanno nella grande distribuzione che ha ovviamente un forte potere negoziale con i produttori di vino. I vini del nuovo mondo, australiani, americani, sudafricani e cileni, pesano ormai per poco meno del 70% dei volumi di vendita dell’off-trade e stanno costantemente erodendo la quota di mercato dei produttori tradizionali europei. I vini australiani rappresentano oltre il 22% delle vendite della grande distribuzione inglese, quelli americani il 16% e le etichette di Stellenbosch circa il 9%. L’Italia vanta circa il 12% delle vendite di vino inglese in volume in questo segmento di offerta, meno della Francia ma più della Spagna. Ma se si passa al valore la quota italiana scende al 10,6%, segno che vendiamo troppi vini di fascia bassa a poco valore aggiunto. Diversa la situazione nei ristornati e pub dove i vini del vecchio mondo rappresentano ancora la maggioranza delle vendite annue, circa il 56%, con francesi e italiani, rispettivamente, al primo e al secondo posto. In questo caso gioca in favore dei vini italiani la “ristorazione etnica”, cioè la diffusa presenza di ristoranti con cucina tradizionale del Belpaese ora organizzati anche sotto forma di catene brandizzate. In un mercato competitivo e dominato dalla forza negoziale del consumatore e del distributore come quello inglese è, disporre di una efficace strategia di marketing è indispensabile per sopravvivere. Restare legati alle vecchie politiche delle degustazioni più o meno spot, delle promozioni non pianificate o della scontistica a pioggia non porta troppo lontano. Nell’off-trade inglese il prezzo medio di vendita dei vini italiani è il più basso dopo quello tedesco ed allineato con quello dei vini argentini. Cileni, australiani e americani, produttori che negli ultimi 20 anni hanno puntato molto sul marketing del vino, spuntano tutti prezzi medi più elevati. Negli scaffali britannici i vini italiani arrivano in ordine sparso e troppo spesso offerti da micro produttori con una minima capacità di packaging e di marketing. Anziché competere sulla qualità del prodotto o puntando sulla forza riconosciuta del brand competono quasi esclusivamente con il prezzo. Di fatto senza saperlo e in maniera disorganizzata i vini italiani sono diventati la yellow tail del mercato inglese, mentre il brand reso celebre dalla famiglia italo-australiana Casella come simbolo del vino low cost, grazie al marketing, riesce a farsi pagare meglio dai consumatori inglesi. Una lezione vera di come giocare strategicamente nell’off-trade nel ventunesimo secolo.

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