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Italia Oggi

L’e-commerce del vino non spopola e il web 2.0 è da scioprire ... Mentre la rete celebra il decennio della new economy italiana e gli smartphone si preparano a sostituire il pc come l’interfaccia più utilizzata per accedere al web, le vendite di vino via internet rimangono curiosamente al palo. Certo, un po’ cresce ed è cresciuto anche l’e-commerce enologico, ma si tratta di volumi insignificanti rispetto alla rivoluzione prodotta da internet nelle modalità di acquisto dei beni. Eppure il vino, almeno sulla carta, si presterebbe perfettamente per essere acquistato via web. È un bene che solitamente si ripete negli anni e che quindi non subisce i cambiamenti delle mode stagionali nelle sue caratteristiche principali; una bottiglia di vino può essere ben descritta ed oggi anche resa tridimensionale nel web; il vino è anche un bene scomodo e pesante da trasportare, quindi consegne a domicilio in seguito ad un acquisto via rete dovrebbero essere gradite dai consumatori; internet, poi, può favorire acquisti di gruppo o l’estrema personalizzazione dell’offerta e del prodotto che nessun enoteca è in grado di garantire allo stesso modo; infine, in rete il confronto è da coda lunga del vino nel senso che qualsiasi consumatore può paragonare o ricercare ogni tipo di bottiglia, anche le più rare o strane, con un semplice click navigando in una numerosità di bottiglie che neanche il negozio più rifornito al mondo potrà mai garantire. Insomma, il web è in grado di offrire molte opportunità ai consumatori di vino che curiosamente non ne approfittano appieno. Le stesse imprese vitivinicole sono poco internettiche. In Italia praticamente tutte sono ferme ai siti vetrina della prima onda di internet e fanno poco e male il commercio elettronico. Potrebbero risparmiare una parte importante del prezzo di vendita finale assorbito da una lunga catena conmerciale e, grazie al web, trasformarlo in parte in maggiori profitti aziendali e in parte in benessere dei consumatori. Ma non lo fanno se non con estrema timidezza, perché hanno paura di cannibalizzare i canali tradizionali fisici di vendita e la rete di agenti. In realtà, la prudenza delle imprese vinicole verso l’e-commerce è un altro modo di leggere l’estrema frammentazione del lato dell’offerta: se in Italia ci fossero pochi grandi gruppi del vino capaci di controllare l’80% del mercato è indubbio che le cose per il commercio elettronico andrebbero diversamente. La struttura proprietaria del vino nel Belpaese è un sicuro elemento di rallentamento della diffusione delle innovazioni tecnologiche legate alla rete perché le imprese sono mediamente troppo piccole, quindi con scarsi capitali da investire in innovazione, e troppo condizionate dalla forza dei canali di vendita tradizionali. Se nel nuovo mondo e nei nuovi mercati l’e-commerce vinicolo andrà in maniera diametralmente opposta, se cioè i consumatori russi, cinesi o brasiliani compreranno molte bottiglie via web, allora per le imprese italiane saranno dolori. Nel frattempo non rimane che constatare, come risulta anche da una recente ricerca di Winenews sull’uso del web da parte delle aziende vinicole, la preoccupante arretratezza del settore rispetto agli andamenti nazionali di altri settori merceologici e internazionali del vino. L’enologia, ad esempio, potrebbe essere ben valorizzata dal paradigma del web 2.0, cioè del social network, vista la presenza di comunità di appassionati di vitigni o di cantine, ma in Italia nessun produttore ha fatto nulla. E il vino, come prodotto, dovrebbe avvantaggiarsi della crescente importanza dell’internet mobile considerato che spesso di consuma in mobilità in ristoranti o a casa di amici. Ma il vino italiano è fermo al web del 2000, speriamo non paghi un prezzo troppo caro in termini di competitività futura.

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