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Italia Oggi

Categorie del wine marketing post crisi ... Quasi un biennio di recessione globale inizia a produrre qualche effetto anche nel mercato del vino. Sebbene al recente Vinitaly siano emersi dati incoraggianti sull’andamento delle esportazioni, soprattutto verso il mercato statunitense, e sulla tenuta delle vendite, è indubitabile che il consumatore che emerge dalla crisi è e resterà in buona parte diverso da quello che praticava i mercati nel 2007. Prendiamo ad esempio la tradizionale classificazione dell’offerta di una azienda vinicola. Il manuale classico di wine marketing differenziava l’offerta tra tre diverse tipologie di prodotti: i vini cosiddetti popular premium, con un prezzo ricompreso tra i 7 e i 10 dollari americani; i vini premium con un range tra gli 11 e 15 dollari e le bottiglie etichettate come luxury wines al di sopra dei 20 dollari. Ogni cantina doveva organizzare la propria strategia di marketing provando a posizionare almeno un proprio prodotto in ognuno dei tre diversi segmenti di offerta e pensare opportune politiche di marketing mix. I volumi, ovviamente, si facevano con i vini popolari i margini con quelli esclusivi. Ciò significa, ad esempio, che un’azienda vinicola doveva e deve gestire una complessità di marketing peculiare. Per fare un esempio automobilistico è come se la gamma del produttore dovesse spaziare dalla Panda ad una Porsche. Non è soltanto complessa la filiera produttiva e distributiva di un produttore del genere, ma altrettanto sofisticata è la gestione del marketing perché lo stesso brand deve sapersi posizionare in maniera appropriata nella testa dei consumatori come ottimale produttore di Panda e di Porsche. In questo contesto la crisi ha creato due effetti congiunti: ha schiacciato ancora di più verso il basso i vini popular premium che sono ora diventati dei veri e propri vini low cost ricompresi in un range di prezzo tra i 5 e i 7 dollari. Sono quelli che il consumatore vuole abitualmente acquistare al supermercato oppure per averli a disposizione nella quotidianità casalinga. Significa che i produttori devono poterli produrre con tecniche industriali rivisitate e uvaggi specifici per poter ottenere un margine di guadagno su prezzi medi di vendita così tirati. I vini popolari schiacciati nel prezzo medio di vendita vanno supportati da campagne di marketing peculiari soprattutto sostenute da continue offerte commerciali del tipo paghi due e prendi tre. La fedeltà al brand a questi livelli di prezzo è molto relativa e il mix prezzo-promozione abbinato a una ottimale distribuzione fa la vera differenza. Poi, la crisi ha accresciuto, soprattutto nei mercati del nord Europa, la quota di mercato dei vini popular premium ed è assai probabile che tale tendenza si consoliderà nel prossimo futuro. Ciò significa che per i produttori di vino avere una proposta chiara e distintiva per questo segmento di consumatori è oggi assai più importante di quanto non lo fosse prima della crisi. La recessione ha in qualche modo “birrizzato il vino: agli occhi di molti consumatori lo ha trasformato in un prodotto alcolico che deve essere acquistabile con modalità di prezzo non molto dissimili da quelle di prodotti alternativi. Se si vuole è una forma di industrializzazione forzata del mercato del vino dove il prezzo diventa molto più importante della dialettica sul Terroir o sull’origine autoctona o meno delle uve utilizzate. Più che l’enologo conterà la promozione o la capacità di fare marketing. Come ogni recessione strutturale quella più recente ha trasformato anche il mercato del vino dove per fare profitti non si potranno più semplicemente replicare le strategie del recente passato.

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