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Italia Oggi

Nel vino il federalismo è già realtà ... L’Italia vanta il maggior numero di vitigni autoctoni al mondo. Ognuno espressione di un territorio, di una regione, distante anni luce dall’omologazione culturale dei soliti chardonnay e cabernet. Il federalisano enologico produce storie di successo... A livello politico il dibattito sul federalismo sta entrando proprio ora nella sua fase più calda. Dopo anni di discussioni e proposte sono in fase di approvazione i decreti attuativi per il trasferimento di risorse dallo stato centrale agli enti territoriali. Nel caso del vino l’Italia è già da qualche anno un paese pienamente federale. Almeno da quando la riscoperta enologica di antiche tradizioni locali, con annessi vitigni autoctoni, è diventata una realtà produttiva. A partire dagli anni ottanta, infatti, il cosiddetto rinascimento enologico italiano ha fatto conoscere al mercato domestico uvaggi e prodotti di antichi territori che erano rimasti poco noti al grande pubblico. Il fiano di Avellino, l’aglianico del Vulture, il morellino di Scansano, il sagrantino, il grechetto sono soltanto alcune delle varietà territoriali riscoperte nell’Italia enologica federata. Così, senza forse neanche accorgersene, il Bel Paese è diventato un territorio unico al mondo per varietà e diversità di uve prodotte. Il produttore con il maggior numero di vitigni autoctoni al mondo. Ognuno espressione di un territorio, di una regione, distante anni luce dall’omologazione culturale dei soliti chardonnay e cabernet. Figli del clima e della storia delle proprie terre ed espressione vivente della diversità territoriale italiana. Ovviamente si tratta di territori che, da secoli, producono vini, probabilmente fin dall’antichità greca e romana. Ma la tradizione, con il passare del tempo, si era smarrita. I vitigni autoctoni regionali erano entrati nel dimenticatoio. In alcuni casi, come in quello del sirica, un vitigno di origine pare siriana noto fin dai tempi di Plinio, ma poi scomparso dal mercato. Si pensava fosse stato estinto dalla filossera all’inizio del ’900, mentre qualche pianta era rimasta viva ed è stata riscoperta in Campania solo qualche anno fa. La diversità territoriale è un vantaggio competitivo per il vino italiano. Certo, è costosa da far conoscere ed apprezzare sul mercato internazionale, perché ogni vitigno deve raccontare la sua storia e farsi apprezzare. Il costo contatto è elevato. Ma è altrettanto indubbio che la pluralità di gusti e sapori che il federalismo enologico italiano può proporre al consumatore di vino mondiale è unica nella sua ampiezza. Una sorta di naturale “coda lunga”, cioè un ventaglio di offerta ampio e articolato prodotto dalla stessa natura prima che dall’attività umana. Negli ultimi anni il federalismo enologico italiano ha anche prodotto storie di successo aziendale nei diversi territori. In qualche modo ha preso forma anche un federalismo imprenditoriale che ha saputo affiancare, alle storiche ed affermate aziende vinicole piemontesi e toscane, delle nuove realtà espressione dei vecchi territori riscoperti. Imprese che hanno saputo proporsi all’estero ed anche sul mercato domestico. Darsi una storia e una offerta da raccontare. Essere espressioni viventi di un federalismo aziendale emerso dalla riscoperta della tradizione dell’Italia enologica. Il mercato del vino italiano è oggi sicuramente più ricco e interessante di quanto non lo fosse qualche decennio fa. Il farsi federale ha giovato all’enologia italiana. Quello che potrà accadere, invece, sul piano politico è ancora tutto da scoprire.

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