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Italia Oggi

… Il consumo italiano sotto 40 litri pro capite. L’export diventa chiave … Quello che soltanto qualche anno fa appariva come impossibile è accaduto. Il consumo annuo di vino per persona è sceso, in Italia, sotto la soglia dei 40 litri. Un buon terzo in meno dei livelli degli anni 50 che segnala una profonda trasformazione culturale nel rapporto tra il vino, come prodotto, e la cultura della società. Le due lunghe tendenze di fondo, quella legata all’urbanizzazione di quelli che un tempo erano forti consumatori quotidiani di vino e la preferenza delle coorti dei più giovani verso bevande diverse da consumare nei momenti di socialità, hanno gradualmente condotto il consumo medio annuo italiano verso livelli non dissimili da quelli degli altri paesi avanzati. Inglesi, olandesi o svedesi, per esempio, oggi consumano annualmente per abitante un valore di vino ampiamente superiore a quello degli anni 80 o 90. Tutto questo significa che i mercati domestici dei paesi tradizionalmente produttori coprono una quota sempre più contenuta del quantitativo annualmente prodotto e che la differenza di vendite, per far rimanere quantomeno in pareggio il conto economico, va ricercata all’estero con l’export. Meno vendite nazionali e più vendite all’estero nei paesi che non producono ma consumano vino. Una rivoluzione innanzitutto di marketing. Ovviamente è di gran lunga più facile vendere a casa propria di quanto non lo sia convincere un consumatore che spesso neppure conosce bene l’offerta che riceve in termini di specificità del vitigno e del territorio nel quale è prodotto. Eppoi nei mercati che crescono la concorrenza è di gran lunga maggiore. Da parte sicuramente dei paesi produttori del nuovo mondo, come Australia e Cile, ma anche da parte dei produttori emergenti dei cosiddetti Bric, Brasile, Russia, India e Cina. Il Brasile, per esempio, già produce 3,2 milioni di ettolitri all’anno soprattutto nella regione del Rio Grande do Sul, mentre il governo russo vuole arrivare entro il 2020 a 150 mila ettari di vigneti nazionali in produzione dagli attuali 60 mila, vitigni da impiantare soprattutto in Crimea e nella regione di Krasnodar. Quanto alla Cina, dopo anni di massicci investimenti nel settore vitivinicolo è oggi diventato il sesto produttore al mondo di uva e gli impianti continuano a crescere anno dopo anno. I Bric vitano soprattutto varietà noto al consumatore globale, come Chardonnay o Merlot, ie sono per questa ragione ancora più temibili. Nel caso cinese, poi; si tratta di vino prodotto a prezzi a forte sconto rispetto ai ‘valori unitari di produzione del vecchio mondo e questo apre il problema delle strategie di medio termine dei nuovi produttori dei Bric. La passione enologica dei Bric è quindi una possibile minaccia per i produttori occidentali, non tanto per i vini premium o quelli di fascia alta, ma per la parte a minor valore aggiunto della produzione europea. I vini da tavola o da scaffale a prezzo molto basso sono destinati a subire la concorrenza dei vini dei Bric, ovviamente gradualmente, nei prossimi anni. II prossimo futuro delle imprese vitivinicole dei paesi produttori è tutt’altro che agevole, perché se il consumo mondiale di vino non crescerà almeno proporzionalmente per compensare la caduta dei consumi dei paesi un tempo forti consumatori di vino, allora i paesi produttori tradizionali dovranno prepararsi a competere nei mercati di consumo in uno scenario competitivo relativamente originale e senza poter più contare su un solido mercato domestico di vendita. La cash cow enologica nazionale, cioè i consumi domestici che da sempre hanno garantito cassa sicura, non funziona più come negli anni 90.

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