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Italia Oggi

Il tappo spacca il mercato ... A vite o di sughero? Tutti temono il consumatore... I trend nel mondo del vino. Si diffondono chiusure in silicone, plastica e vetro... Inutile nasconderselo. Il tema dei tappi per le bottiglie di vino è di quelli che scaldano gli animi di produttori e consumatori. I margini di dialogo tra i tradizionalisti e gli innovatori. Ma qualcosa si muove. In Italia il sughero è ancora il re incontrastato, ma già da anni si sono affacciati i tappi in silicone o in plastica e, più di recente, quelli in vetro. Stanno conquistando terreno, soprattutto per i vini di fascia media. E i consumatori li hanno accolti bene. Sì, i consumatori. Perché sono questi il vero spauracchio dei produttori. Se con silicone e vetro è per ora andata bene, con altri materiali i vignaioli temono un rifiuto da parte del cliente finale, che vede in materiali più “banali” un’altrettanta banalizzazione del vino. Tra questi nuovi materiali c’è il tappo a vite. Sì, quello che apriamo tutti i giorni nelle bottiglie di acqua minerale, di olio e aceto, di superalcolici. Ma il vino? Orrore! La realtà è un po’ diversa, almeno nel resto del mondo. E siccome anche il vino è ormai un prodotto globalizzato, occorre fare i conti con nuove realtà e nuovi punti di vista. Nel solo settore del vino, il mercato mondiale dei tappi a vite è ormai gigantesco. Da alcuni anni, la crescita globale si è attestata a +35% l’anno; è più lenta in Europa, +15%; l’Italia viaggia a un più modesto 10%, ma di questa quota oltre il 90% vola all’estero. Già oggi, nel mondo, i tappi a vite rappresentano il 10% del mercato (circa un miliardo, contro i 10 totali ogni anno). Dice Franco Cocchiara, wine global coordinator di Guala closures, il gruppo multinazionale italiano, leader mondiale del settore, con il 35% del mercato (un altro 30% è in mano all’australiana Amcor e il resto è diviso tra produttori più piccoli): “Il successo del tappo a vite è dovuto alle esperienze dei produttori australiani e neozelandesi. Troppe bottiglie con tappo in sughero, esportate in Europa e soprattutto in Gran Bretagna, arrivavano alterate (il classico “sapore di tappo, ndr). L’introduzione del tappo a vite ha azzerato questo problema, ma ha mantenuto le qualità del vino. Guala conduce da cinque anni prove di tenuta delle bottiglie, con vari tipi di chiusura e finora i migliori risultati sono venuti proprio dai tappi a vite”. Non a caso, al recente Vinitaly, Guala closures, insieme al consolato generale della
Nuova Zelanda, ha rotto un tabù e ha presentato la soluzione del tappo a vite per un prestigioso vino del paese dei kiwi. Dal 2012 la cantina Penfolds Grange commercializzerà un suo supervino, il Bin 620 (600 dollari la bottiglia), chiuso anche con il tappo a vite. Ma l’esperienza non è unica: in Francia, da alcuni anni, l’alternativa tappo a vite è utilizzata da Château d’Agassac, un Haut-Médoc tra i più rinomati. Stessa linea di pensiero per Domaine Paul Blanck, in Alsazia, per Boisset, in Borgogna, per Laroche a Chablis e per André Lurton a Bordeaux. E in Italia? Il tappo a vite è praticamente inesistente, ma ci sono sorprese: molti grandi nomi dell’enologia nazionale, in Toscana, Piemonte, Veneto vendono bottiglie con tappo di sughero in Italia e con tappo a vite all’estero. Forse non l’alta gamma, ma quella media sì. E i produttori di tappi di sughero? Per un po’ sono rimasti a guardare. Ma non si sono distratti. Al recente Vinitaly, 50 ragazzi-immagine hanno animato i padiglioni con un flash mob a difesa del sughero con slogan e performance per promuovere il tappo di sughero. L’evento è stato organizzato all’interno della campagna internazionale a sostegno del sughero che coinvolge, oltre all’Italia, altri 12 paesi europei. La guerra continua.

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