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Italia Oggi

Diritti di impianto, produzione divisa ... Inchiesta sui vigneti liberalizzati... Non è un “no” secco quello che arriva dalle aziende agricole in merito alla liberalizzazione dei diritti di impianto prevista dal regolamento Ue 479/2008 a partire dal 2015. Josè Rallo, di Donnafugata, sostiene che “in un mercato del vino sempre più globale, una sana liberalizzazione potrebbe servire a selezionare i produttori più capaci. Personalmente sono per un approccio elastico e vorrei anche che, non si parlasse solo di liberalizzazione da qui al 2015 o 2018. I diritti di impianto non hanno certo risolto i problemi di sovrapproduzione, anzi. Possono essere un gruzzoletto per qualche piccolo produttore, anche se sono scesi da 15mila euro a 3mila l’ettaro, ma non sono un’arma per vincere. Ci sono, invece, altri problemi da affrontare come il marketing, la promozione, le reti di impresa per le quali la tanto bistratta Ocm funziona bene. Dobbiamo parlare di sistema Italia, di aggregazione, di economie di scala”. Per Piero Antinori esiste sì, “una comprensibile e legittima preoccupazione da parte dei produttori in una situazione di sovrapproduzione, con i prezzi della materia prima in ribasso”. Ma è altrettanto vero che “credo si tratti di una preoccupazione dettata da motivi emotivi”. Se infatti, già ci fosse la liberalizzazione “non penso che ci sarebbe questa corsa agli impianti, oggi nessuno pianta. È un pericolo più teorico che pratico”. Quello che invece, chiede Antinori è “regolamentazione, sì, ma non troppo rigida per non precluderci opportunità che si possano creare negli anni”. Secco il no, che invece arriva da Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola, Gargagnago di Valpolicella (Vr), e presidente delle Grandi Famiglie dell’Amarone. “È una proposta antitetica rispetto al modo mediterraneo di intendere il vino. La liberalizzazione favorisce il Nuovo Mondo, il marketing, il vino di massa. Da noi le cose sono molto più complesse, dobbiamo difendere tutto il sistema, compreso il controllo della gestione del potenziale produttivo”. E per Boscaini la deregulation è una ingiustizia. “In Italia sono stati spesi patrimoni per acquistare diritti in zone non vocate e portarli in quelle vocate. Sarebbe una ingiustizia per chi arriva adesso e ha le stesse opportunità senza aver speso un euro”. Anche il Consorzio Vino Chianti, con il suo presidente Giovanni Busi dice di essere “totalmente contrari. Un’operazione di questo genere porterebbe soltanto alla moria di moltissime medie e piccole aziende”. Secondo Letizia Cesani, del Consorzio della Vernaccia di San Gimignano (Si) “a prima vista, l’abolizione dei diritti d’impianto potrebbe sembrare una novità positiva, ma è solo miopia”. Nell’attesa di sapere come andrà a finire, c’è chi pensa ai “saldi”. Come uno studio di Firenze che ha spedito per email un annuncio dove dice di “essere in possesso di diritti di reimpianto vigneti di piccola e grande superficie, anche Doc. Saremo lieti di essere contattati se interessati all’acquisto. Prezzi modici”.

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