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Italia Oggi

Ora, serve un gruppo vinicolo da 1 mld ... Ora lo hanno certificato anche le cifre relative all’ultima vendemmia effettuata nei vari emisferi del pianeta: in quantità è il primo produttore di vino al mondo. La Francia, storico leader, è stata superata dal made in Italy. Una notizia senza alcun
importante per un paese alla ricerca di settori produttivi sui quali puntare per provare a guadagnare un ruolo competitivo nella nuova divisione internazionale del lavoro e del valore che sta disegnando la globalizzazione avanzante a tappe forzate. Essere numeri i nel business ed economia vale molto: perché il leader può permettersi strategie di prezzo e commerciali che chi insegue non può pensare e realizzare con le stesse modalità. La strategia è quasi sempre definita da due categorie di imprese: quelle che sono leader e quelle che sono capaci di innovare per trovare uno spazio di business completamente originale, Ma l’Italia del vino gode di una leadership davvero peculiare perché nei fatti e nei numeri aziendali soffre di una frammentazione produttiva e proprietaria che ne fanno davvero un caso speciale. Il produttore leader dovrebbe vantare anche imprese altrettanto prime della classe in termini di fatturato aggregato a livello mondiale. Avere almeno un’impresa del settore in grado di fatturare un miliardo di euro all’anno in giro per il mondo commercializzando il proprio portafoglio di etichette e bottiglie esclusive. Una Concha y Toro cilena, oppure una Constellation americana, grandi gruppi in termini di fatturato e di capitale assorbito così da poter giocare da protagonisti la nuova partita della penetrazione dei mercati emergenti. In Italia, a livello di offerta, la frammentazione è ancora troppo ampia e fotografa una debolezza industriale che un leader dal lato della produzione non ha molto senso che si permetta. Servirebbe un grand’Italia
de gruppo vinicolo nazionale capace di fatturare annualmente oltre la soglia del miliardo di euro e
pronto a trascinare con la sua forza finanziaria anche le Pmi vitivinicole di nicchia e di qualità nelle
campagne di marketing globali. Un leader aziendale vero e riconosciuto come tale anche dai concorrenti internazionali, capace di investire anche in innovazione con continuità. Ma di quali opzioni dispone il paese numero uno al mondo per produzione vinicola per dotarsi di almeno un’impresa che fatturi 1 bln annuo? Almeno di tre opzioni. Un rapido processo di acquisizione mirata guidato dai pochi grandi protagonisti del settore. La Campari, operativa nel settore più ampio degli spirits, che già fattura più di i miliardo di euro all’anno oppure, ma con maggiori difficoltà realizzative muovendo dai principali gruppi presenti solo nel vino, come Giv o Antinori. Potrebbe scendere in campo anche lo Stato immaginando una sorta di Iri vinicola, cioè un progetto industriale di aggregazione del settore finalizzato a creare un gruppo da almeno 1 miliardo di fatturato da quotare poi in borsa. Oppure, infine, potrebbero favorire il processo di aggregazione capitali del tutto privati utilizzando gli strumenti della finanza come il private equity. Per il momento l’Italia si gode il conseguimento primato nella produzione del vino, ma definire una strategia industriale di settore un po’più ambiziosa sarebbe quanto mai importante se vogliamo evitare di assistere a tante nuove Parmalat anche in campo vinicolo: eccellenze italiane sfruttate globalmente da gruppi internazionali.

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