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Italia Oggi

Non solo moda ... Anche il vino italiano può contare su enormi potenzialità di sviluppo in Cina purché comunichi meglio se stesso, la sua storia, la sua atmosfera e venga pubblicizzato uscendo dai circuiti ristretti dei ristoranti, dove attualmente si registra il maggior consumo, e che sono tuttora i veicoli tradizionali in Cina per fare conoscenza con le etichette del vino italiano. E sì, perché in Cina i ristoranti di lusso più ricercati sono made in Italy e non quelli francesi. Inoltre, può essere una buona strada quella di frequentare il circuito delle aste dei vini che serve per aumentare il prestigio delle etichette e a far lievitare i prezzi. A raccontare quello che sta succedendo sul mercato cinese del vino è stata Jeannie Cho Lee, giornalista specializzata e wine educator, intervenendo ieri a Firenze alla decima edizione del Milano fashion global summit organizzato da Class Editori (che partecipa al capitale di questo giornale) in collaborazione con la Camera nazionale della moda italiana (Cnmi), The Wall Street Journal Europe e Bank of America-Merrill Lynch. Il vino in Cina non è soltanto una bevanda ma uno stile di vita, una testimonianza del successo personale raggiunto e, quando offerto, la dimostrazione di rispetto per il proprio ospite. È una dimensione culturale. Il mercato registra quotazioni stratosferiche per alcune etichette francesi che sono vendute a mille e duemila euro. Non solo, ma Cho Lee ha raccontato anche che le case che vengono costruite per i miliardari a Pechino. Village prevedono, di serie, una capiente cantina per i vini.
Penetrare questo mercato non è semplice perché ogni città ha le sue regole per la vendita del vino e questa differenziazione complica le cose. Un fattore a favore, è l’abolizione recente dei dazi a Hong-Kong sulla vendita del vino e questo è il modo di entrare in Cina per chi vuole vendere le proprie bottiglie, ha specificato Cho Lee, che ha risposto alle domande di Albiera Antinori, vice chairman Marchese Antinori, Lamberto Frescobaldi, vice chairman Marchesi de’ Frescobaldi, Alessandro Cellai, managing director Domini Castellare di Castellina e Rocca di Frassinello.
Gli esportatori di vino in Cina devono vedersela anche con i vini cinesi che hanno migliorato la loro qualità e le prime cinque aziende assorbono circa il 20% del mercato domestico. L’ingresso della Cina nel Wto ha permesso, secondo Cho Lee, di aumentare le proprie competenze e di innalzare la qualità e proprio questo fattore ha aperto la strada all’importazione dei vini stranieri.
Fra questi il primato spetta alla Francia, seguita dall’Australia, che ora sta diminuendo il proprio peso, mentre l’Italia sta aumentando le proprie vendite in un mercato dove trovano spazio anche i vini spagnoli, statunitensi e cileni.
La società Dinasty Ohateau ha costruito in Cina un castello che riproduce il Louvre e vende le bottiglie divino a mille euro l’una. E che dire del fenomeno Lafitte che è riuscita a raddoppiare i propri prezzi ed è fuori dal circuito dei ristoranti? I vini italiani, secondo l’esperienza di Cho Lee, sono poco pubblicizzati e sono molti i produttori italiani che vanno in Cina e non riescono a farsi conoscere. “Bisogna cercare di spingere il valore aggiunto di questi vini”, ha concluso Cho Lee, invitando a incoraggiare in Cina la conoscenza dei vini toscani. Le aste, rispondendo alla domanda di Cellai, secondo Cho Lee “hanno un grande successo in Cina che hanno venduto vini per 69 milioni di dollari con l’obiettivo di arrivare a breve a quota 500 milioni di dollari”.

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