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Italia Oggi

Nella carta dei vini arriva lo straniero ... Al ristorante nettari da mezzo mondo... I vini stranieri entrano prepotentemente nelle carte dei ristoranti italiani. Con Francia, Germania, Austria a farla
da padrone per i vini bianchi e ancora Francia, ma seguita da Spagna, Cile, Stati Uniti, Australia, Argentina, Sud Africa per i rossi. E per incuriosire i propri clienti, qualche ristorato- re offre anche bottiglie canadesi, israeliane, libanesi, ungheresi o greche. Una crescita che si somma alla riduzione della proposta di etichette. Rispetto al 2009, nel 2010 sono diminuiti i locali con oltre 100 etichette nella carta dei vini. Lo evidenzia l’indagine dal titolo “Vinitaly incontra la ristorazione , dal quale emerge che la nuova tendenza sembra essere la risposta alla contrazione dei consumi nella ristorazione. Un calo, -50%, dovuto prevalentemente ai controlli sulla guida, 95%, e al fatto che si va meno al ristorante, 52%, ma non per i prezzi troppo alti, 18%. E tra contrazione delle etichette e offerta straniera, i vini italiani trovano sempre meno spazio anche se il 37% dei ristoranti italiani non propone vini bianchi stranieri, la percentuale sale al 40% per i vini rossi, fino ad arrivare al 72% per i rosati e scendere al 20% per le bollicine. La scelta invece cli chi acquista vini stranieri è fortemente indirizzata alla Francia per tutte le tipologie. Il 99% dei ristoranti offre bollicine provenienti da Oltralpe, il 96% vini bianchi, il 91% rosati e il 94% rossi. Sono però in molti a proporre vini rossi spagnoli (49%), cileni (42%), statunitensi (39%) e circa un terzo dichiara di avere anche bottiglie di rossi australiani, argentini e sudafricani. Per i bianchi, invece, al secondo posto c’è la Germania (presente nel 49% delle carte dei vini internazionali), seguita a distanza dall’Austria (36%), mentre ancora più lontane ci sono Nuova Zelanda (24%) e Australia (22%). Per Lucio Mastroberardino, presidente di Unione italiana vini, “si tratta di una tendenza ma non certo cli un fenomeno strutturale. Si tratta del normale corso delle globalizzazione, l’anomalia era prima. Non possiamo pensare in modo chiuso, non possiamo difendere l’indifendibilee’. Quello che il sistema vino italiano deve “trasmettere al consumatore la consapevolezza che quando compra una bottiglia si contribuisce a salvaguardare il vigneto, l’ambiente, il territorio, l’occupazione. La filiera vino è l’unica che non può essere delocalizzata. Il vino italiano è l’Italia”. Secondo Lamberto Vallarino Gancia presidente di Federvini “la tendenza è dettata dalla curiosità, dal consumatore evoluto che cerca la qualità. Dobbiamo pensare che se i vini stranieri finiscono nei nostri ristoranti, i vini italiani conquistano l’estero come il Lambrusco che in Spagna è legato alla pizza, il Moscato negli Usa, il Prosecco, l’Asti spumante con il quale si pasteggia in Giappone”. Dal sondaggio realizzato da Vinitaly emerge inoltre che il 60% dei clienti chiede vino in bottiglia, contro il 26% che ordina al bicchiere e il 4% che vuole la mezza bottiglia; il bottle sharing, lo scambio di bottiglia tra più tavoli, è fermo all’l%, mentre il 6% non si fa problemi di immagine e sceglie il doggy bag, portandosi a casa la bottiglia non finita.

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