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Italia Oggi

Lo scienziato che inventa il vino ... Ingredienti: terroir e sapienza. Segreti: gusto e comunicazione ... “Un buon vino nasce da un grande territorio, da un buon clima, e soprattutto dalle conoscenze. Ma per essere tale deve essere longevo e riconoscibile al palato, riconducibile al territorio, ome nei sogni di ogni produttore”. Solo così, secondo Donato Lanati, l’enologo scienziato, come è stato più volte apostrofato, si può continuare a fare del vino eccellente e al contempo venderlo in Cina, in Sud America, in Usa. La battaglia per l’esperto di vino, docente alla facoltà di Agraria dell’Università di Torino, si gioca infatti non sulle varietà, ma sul territorio e sull’informazione del consumato- re “che vuole conoscerne le caratteristiche, la qualità, l’ambiente e deve essere messo in condizioni di leggere le analisi”. La filosofia dell’enologo premio internazionale del vino Ais 2009, anno in cui fu anche nominato imprenditore dell’anno dalla camera di Commercio di Roma (Cciaa), è sempre stata quella di far parlare il vino e di metterlo in comunicazione col consumatore. Per questo quando ha creato Enosis Meraviglia, realtà scientifica di riferimento nel campo dell’enologia varietale sulle colline del Monferrato, un centro di ricerca con laboratori, centine sperimentali e virtuali, sale di degustazione e zona universitaria, si è concentrato sui temi della qualità, della tracciabilità e dell’informazione. Un esempio del tentativo di divulgazione è la creazione del marchio Mister Wine, l’Uomo del vino e della terra, che attraverso un QR Code permette di trovare online tutti i dati analitici e le informazioni che corrispondono a quel lotto di vino spiegate anche attraverso immagini e cultura del territorio. Una vita di analisi, divulgazione e consulenza dunque, quella che Lanati è impegnato a fare per oltre 50 aziende italiane, dalle aziende agricole delle Assicurazioni Generali alla calabrese Librandi, dalla Mascarello nell’area del Barolo alla toscana Lamole del gruppo Santa Margherita, per citarne alcune “capaci di esprimere un territorio e attente alla salute dell’ambiente”. Anche Gérard Dépardieu e Carole Bouquet, per fare due nomi celebri, si sono affidati all’enologo piemontese. Un seguito che si è guadagnato studiando insistentemente le molecole del vino alla ricerca di risposte, dormendo nei vigneti per capire quando era il momento migliore per la raccolta “quando cioè si raggiungeva la massima espressione dei profumi nella maggiore percentuale di acini”. E grazie all’incontro con maghi del vino, come il suo professore Eynard, “che considero il mio maestro in assoluto” e il microbiologo Annibale Gandini, come con realtà quali l’azienda piemontese Ceretto “che mi ha insegnato a confrontarmi, a stare a tavola coi francesi e a batterli alla seconda cena”. Esperienze che gli danno la credibilità per fare previsioni. “Il vino del futuro sarà quello riconoscibile, capace, in un sorso, di portarti all’interno del vigneto, di trasmettere emozioni e cultura”. Ma sarà anche quello che, mantenendo la sua originalità e varietà, andrà incontro al suo mercato di riferimento “che sia cinese o sudamericano, carpendo i gusti di quel mercato e comunicando i propri valori in un marchio: perché la comunicazione è reddito”.

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