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Italia Oggi

Il lavoro? Si trova sul campo ... I braccianti agricoli i più assunti, Seguono i camerieri ... Scarse competenze, titoli di studio di grado inferiore e predisposizione alla manualità: sono le paradossali (e poco incoraggianti) principali richieste del mercato del lavoro, già “avaro” di solide opportunità per giovani e adulti. Non si tratta cli un’analisi ingenerosa e superficiale, bensì del quadro desunto dall’infallibile “termometro” dello stato di salute delle assunzioni in Italia, ossia 1’ comunicazioni obbligatorie sui rapporti attivati, che periodicamente finiscono sul tavolo del ministero del welfare. I numeri relativi ai contratti stipulati nel secondo trimestre 2013 non lasciano spazio alla fantasia, né a facili entusiasmi, giacché in testa alla classifica delle professionalità ricercate dalle aziende ci sono, per quel che concerne la componente maschile, 177.028 braccianti agricoli e in seconda battuta a trovare posto sono camerieri e figure similari (122.unità), nello stesso ambito operano i cuochi in alberghi e ristoranti (61.964), a seguire manovali e addetti non qualificati dell’edilizia civile e lavoratori affini (53.708); chance giungono, però, anche dal mondo dello spettacolo, che conta 42.190 attivazioni per altrettanti registi, direttori artistici, attori, sceneggiatori e scenografi, infine a trovare un impiego a partire dallo scorso mese di aprile sono stati anche facchini, addetti allo spostamento merci ed altri individui che svolgono attività nel medesimo contesto (40.733). Tutti gli inquadramenti elencati, si legge nella nota diffusa dal dicastero guidato da Enrico Giovannini, non consentono, inoltre, affatto agli assunti di “riposare sugli allori”, trattandosi prevalentemente di contrattualizzazioni a tempo determinato (il 67,9% della cifra complessiva), che raggiungono punte del 99,3% del totale nel caso di chi viene reclutate per lavorare nei campi e dell’80,6% per coloro che hanno il compito di servire alla clientela cibi e bevande.
A poter siglare un accordo sine die, invece, soprattutto i muratori (45,4%) e i manovali edili (43,8%); sulla totalità dei 67.952 apprendisti che hanno iniziato il percorso di formazione e di attività vera e propria, invece, seppure le percentuali diventano in questo caso ben più contenute, la gran parte è stata chiamare a stare dietro il bancone di un negozio come commesso o, comunque, a cimentarsi nella vendita al dettaglio (9,3%), in successione rapida ci sono i baristi e le professioni assimilate con l’8,1%, poi i muratori (7,5%) e il personale incaricato di cucinare le pietanze in alberghi e ristoranti (6,3%). Mansioni che richiedono competenze limitate riservate anche alle donne: sul milione 255 mila e tre contratti firmati nel secondo trimestre dell’anno in corso, a carattere permanente sono quelli per le addette all’assistenza personale con quasi il 69% e per le collaboratrici domestiche (65,4%); e se l’apprendistato è utilizzato più frequentemente per formalizzare le bariste (10,7%) e le commesse (7,8%), percentuali superiori al 99% riguardano gli inquadramenti a tempo determinato delle braccianti agricole, delle professoresse di scuola pre-primaria e primaria e, sempre nello stesso contesto, delle bidelle. Tali “professioni a elevata rotazione del personale” (da cui, cioè, non si pretendono particolari abilità e che, comunque, non vengono spesso confermate in uno stesso posto), come le definisce il sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ministero del welfare che tiene la contabilità delle intenzioni delle imprese di aprire le porte a nuovi occupati, si confermano, pertanto, quelle per le quali c’è “l’elevatissima concentrazione di assunzioni”, a livello stagionale, o meno. In questo scenario, sembrano, pertanto, poco attendibili le ipotesi di assunzioni stabili dell’ultima rilevazione, laddove si evidenzia “una propensione spiccata tra le imprese esportatrici per la realizzazione di nuovi prodotti e servizi” (circa 40 mila nel 2013, si legge, disposte a dare il via a 111 mila contratti alle dipendenze), nonché la volontà di innovare “il processo produttivo e organizzativo, o investire in green economy, ossia in tecnologie ecosostenibili”: per raggiungere gli obiettivi menzionati, infatti, occorrono in prevalenza figure forti di percorsi scolastici superiori, non certo esclusivamente individui provvisti di basse qualifiche. La crisi, pertanto, pare aver ristretto le reali aspettative di crescita delle aziende, sempre più orientate a dotarsi di lavoratori con un “bagaglio” di capacità e preparazione povero. Forse, in attesa di tempi migliori in cui (ri)aprire le porte ad impiegati con elevata formazione. Nel frattempo, sebbene le immatricolazioni all’università nel nostro paese siano in discesa graduale (da 338.482 nell’anno accademico 2003-2004 a 280.144 del 2011-2012, con una sforbiciata di 58 mila studenti pari a -17%), chi si applica sui libri non può che sentir suonare un campanello d’allarme, osservando quali sono i mestieri più “gettonati”. E sperare che il governo non sia sordo, e trovi soluzioni per invertire la tendenza.

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