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Italia Oggi

Asti, tornano in tre ... Farinetti: serve un Superiore Nel consorzio Martini&Rossi, Toso e Fontanafredda... Grandi manovre sull’Asti Docg. In attesa di vedere se cambierà la geografia delle terre in cui si producono le famose piemontesi il fatto nuovo è il rientro nel consorzio di tutela tre aziende qualche anno fa aveva abbandonato la protezione di San Secondo, il patrono di Asti sul bollino di garanzia. I nomi, che verranno ufficialmente annunciati venerdì, sono Martini & Rossi, Fontanafredda e Toso. Il perché di questi ritorni lo spiegano gli interessati: “La nostra società, la cui storia è così legata al territorio dell’Asti ed al prodotto che più lo rappresenta, ritiene di poter avere un ruolo attivo molto importante nel consorzio, per aiutarlo a proseguire nel percorso già tracciato di valorizzazione del marchio del prodotto dice Giorgio Molinari, Country manager Italia Martini&Rossi. Quello di Gianfranco ha più l’aria di un rientro col freno a mano tirato: “è un momento in cui bisogna lavorare assieme, ma sinceramente ho parecchi dubbi. Le iniziative del consorzio sono molto costose, spesso con risultati scarsi e disordinati. Vedremo che si può fare. Alla fine i matrimoni non debbono durare per forza”. Incisivo il patron di Fontanafredda Oscar Farinetti: “L’Asti in questo momento è venduto ad un prezzo troppo basso. A noi interessa rilanciarlo e pensiamo a un Asti Superiore, con un disciplinare più rigido, che dia una maggior immagine all’estero”. Insomma, usando una metafora, sembrerebbero ritorni all’ovile più nel ruolo di pastori che in quello di agnelli desiderosi di rientrare nel gregge. Intanto Farinetti prende posizione anche sul fatto che parte del territorio comunale di Asti faccia parte della Docg a cui la città dà il nome: “In termini di immagine il fatto che Asti sia fuori dell’area di produzione mi sembra una follia figlia dei soliti egoismi”. Parole che suonano come musica alle orecchie di Mariangela Cotto e Giovanni Pensabene, i due consiglieri comunali che sotto lo slogan “Una storia sbagliata”, preso in prestito da De Andrè, hanno bandito una crociata per l’inserimento del comune nella Docg e parlano di “apartheid enologica nei confronti di Asti”, avvisando: “Attenzione, perché la normativa europea del 2010 sulle denominazioni d’origine prevede che il luogo da cui prende nome un vino sia indissolubilmente legato alla produzione”. In ballo ci sono 140 milioni di fatturato perché in California esiste un’altra Asti, che potrebbe vendicare il diritto a usare il nome per uno spumante made in Usa. Per dirla ancora con De Andrè “una storia un po’ complicata” che ha provocato riunioni tra negazionisti (con in testa l’Associazione produttori Moscato e la Coldiretti) e annessionisti, da cui l’unica proposta di mediazione uscita, pare la classica foglia di fico: ammettere alla produzione solo il vigneto dell’Istituto professionale per l’agricoltura con sede in Asti. Oggi parte una raccolta di firme per un Consiglio comunale aperto sulla questione, in cui ci si aspetta che il sindaco, Fabrizio Brignolo, finora silente, prenda posizione.

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