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Italia Oggi

Gelata cinese sul pianeta vino … Non solo calcio. Il governo centrale frena gli affari in real estate, turismo e settori poco green... Pechino stoppa gli investimenti all’estero in vigne e cantini... Sui media italiani la notizia è passata soprattutto sui quotidiani sportivi e sui siti che seguono il calciomercato, per via della brusca frenata agli investimenti nel mondo del pallone, imposta dal governo cinese. Ma, in realtà, lo stop di Pechino agli investimenti cinesi all’estero ha un raggio molto più ampio. E toccherà anche il mondo del vino. Già, perché, sebbene le linee guida dettate il 18 agosto scorso dal Consiglio di stato cinese - massimo organo amministrativo centrale della Repubblica popolare - incoraggino gli investimenti in agricoltura e pesca, al contempo impongono forti “restrizioni” al real estate. Cioè agli investimenti immobiliari che, a rigor di logica, comprendono anche cantine e possedimenti terrieri. A confermare a ItaliaOggi, questa lettura è anche la ceo di Business Strategies, Silvana Ballotta, la cui azienda (in prima linea nel sostenere l’internazionalizzazione delle imprese vinicole italiane) ha da tempo attivato nel paese asiatico una sede di supporto per gli investimenti e una scuola di vino italiano. Ma torniamo al blocco cinese e alle sue ripercussioni. Oltre alle acquisizioni immobiliari e allo shopping di clubs sportivi, finiscono nel mirino di Pechino gli investimenti all’estero in turismo e spettacoli (hotel ed entertainment), le operazioni in comparti industriali reputati obsoleti e gli affari che violano gli standard ambientali, così come i progetti in paesi che coltivano rapporti diplomatici difficili con la Cina e i business in zone del pianeta a rischio destabilizzazione. Poi, il governo centrale cinese ha vietato esplicitamente ogni investimento all’estero che possa “mettere in pericolo interessi e sicurezza nazionale della Cina”, come, ad esempio, “la produzione di tecnologie e prodotti militari non autorizzati”, ma anche gli affari. “in gioco d’azzardo, pornografia e tecnologie o produzioni proibite” esplicitamente dall’ex Celeste impero. Tornando, però, al comparto alimentare, si diceva che lo stop al real estate potrebbe chiamare in causa le grandi aziende vinicole. Queste, infatti, sono costituite da una componente immobiliare (edifici e terreni), su cui si innesta una componente produttiva e innovativa agricola. Di conseguenza, il bando agli investimenti di Pechino potrebbe anche rivelare qualche crepa. Per altro, i capitali cinesi sono stati protagonisti, di recente, di una campagna di acquisizioni in Europa. James Zhou, miliardario dell’imballaggio, è stato uno dei pionieri. Nel 2015 ha comprato lo Chàteau Renon a Tabanac, una decina di ettari lungo la Garonna. Fu preceduto di poco da Chen Miaolin, boss del turistico - immobiliare, che si era aggiudicato uno Chàteau da 30 ettari circa di vigneti e una magione del 1.700. Jack Ma, boss di Alibaba (gigante cinese dell’ecommerce), ha chiuso a inizio 2016 l’acquisto di Chàteau de Sours, a poca distanza da Pomerol e da Saint Emilion, con un castello del XVIII secolo, attorniato da 85 ettari di vigneti che rendono 500 mila bottiglie l’anno. Costo: 16 mln di euro, per una cantina, il cui valore era stimato a un terzo. Poi, nel giugno successivo, ha acquistato per 12 mln di euro altre due proprietà nel bordolese: Chàteau Pérenn, 64 ettari (anche qui 500 mila bottiglie l’anno), e Chàteau Guerry, 20 ettari a Merlot, Malbec e Cabernet Sauvignon. Ma il tycoon del B2C è solo uno dei tanti investitori cinesi che hanno programmato di acquistare: nella loro lista dello shopping in Francia c’erano 20 cantine entro il 2016 e altre 30 entro il 2017. E tra i nuovi produttori con gli occhi a mandorla compare anche l’attrice Zhao Wei, che ha acquistato Chàteau de Senailhac e Chàteau Monlot. Comunque, molto spesso si tratta di operazioni col silenziatore Lo scorso anno, un giornale locale della zona di Bordeaux aveva censito più di 50 cantine passate in mano asiatica e oltre cento nel solo Sud dell’Esagono. Ci fu persino uno dei principali store online di vino in Cina, Jiuxian.com che annunciò a fine 2016 i aver raccolto 83 mln di Renminbi (circa 10 mln di euro) per acquisire la proprietà di uno chàteau a Bordeaux, così da poterne importare i direttamente. Ma dell’eventuale operazione, poi, non è saputo più nulla. E l’Italia? Per ora il Belpaese paga dazio al marketing vinicolo e ali consolidata capacità di promozione dei francesi su qui mercato. Di conseguenza, suoi terroir (meno noti nel far east) restano poco attrattivi un po’ come lo sono i numeri del suo export vinicolo in Cina. C’è dunque molto da fare, un enorme potenziale da sviluppare. E alle liste c’era anche una dichiarazione di intenti, rilasciata due anni fa da Li Zefu, gran capo di Cofco, colosso del food cinese: “Dopo Francia e Australia vorremmo investire in Italia” disse, guardando con interesse al Chianti. x

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