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Italiaoggi

La più grande fiera agricola ... L’Italia è presente, ma purtroppo solo alla spicciolata ... È in corso a Berlino la Grune Woche, la settimana verde, la più grande fiera dell’agricoltura al mondo. Precisazione inutile, quasi tutte le fiere sul suolo tedesco, dai libri ai tendini d’acciaio, sono le più grandi del pianeta. Oltre 1.600 espositori da una sessantina cli paesi presentano fino a domenica i loro prodotti, su 115 mila mq, una decina di campi di calcio. Avvolti in una gigantesca nuvola di odori, aromi di fitti e di dolci, di arrosti e di zuppe, spaghetti e sushi. Il visitatore ingrassa a respirare. Per me è un incubo in verde. Ci sono stato una volta per dovere professionale, e non ci tornerò mai più. Ma mezzo milione di visitatori non condivide il mio snobismo. Non solo addetti ai lavori. Al non modico prezzo di 13 euro, 26 per le famiglie, ci si può saziare passando da uno stand all’altro, di assaggino in assaggino. Oppure, i mangioni possono degustare piatti esotici in uno dei tanti ristoranti. Ci siamo anche noi italiani, ovvio. E i nostri espositori hanno da sempre successo (la prima edizione della Griine Woche risale al 1926, anno di fàme nella Repubblica di Weimar). I tedeschi hanno scoperto l’aceto balsamico, anche se lo comprano a due euro al litro al supermarket, vanno pazzi per il parmigiano e lo spargono perfino sugli spaghetti alle vongole, preferiscono il Chianti al Bordeaux, gustano un cappuccino a mezzanotte, e hanno imparate a cucinare i maccheroni al dente già prima che cadesse il Muro. A Berlino, i ristoranti che battono il tricolore sono un migliaio, veri e fasulli, ottimi e discreti, quasi mai pessimi, perfino con cuochi tedeschi, che non sono i peggiori. Però, secondo la nostra tradizione, alla fiera veniamo in ordine sparso, ognuno per sé, al massimo uniti in squadre regionali. Mi sono sempre chiesto perché Pannella abbia indetto e vinto un referendum per abolire il ministero dell’agricoltura. Avrà avuto le sue ragioni. Ma, in campo internazionale, ci presentiamo divisi. Come per il turismo, ogni regione per sé, mentre ci vorrebbe una squadra nazionale. I turisti cinesi a livello mondiale hanno già superato i tedeschi, che erano sempre in testa, ma, per loro, l’Europa è una meta unica, e non stanno a distinguere tra Toscana e Sicilia. I francesi, che a tavola ci battono quasi sempre, spesso senza merito, sono maestri nel sapersi vendere. Hanno un centro a Parigi dove gli importatori stranieri possono trovare tutte le specialità regionali, a cominciare dalle centinaia di formaggi che anche per De Gaulle erano troppi. I tedeschi, quando scendono in Italia, devono andare a caccia dei nostri prodotti che amano, di paese in paese, e i nostri piccoli produttori devono superare problemi che, per loro, sono, a volte, troppo complessi. A Bruxelles, i nostri rivali mandano grandi specialisti, noi politici da riciclare o da accantonare. I problemi con le quote latte dipendono anche da questo. Anni fa, a uno degli incontri comunitari (che non erano la mia specialità), un nostro ministro dell’agricoltura annunciò che aveva strappato un generoso aumento del prezzo dei pomodori. A quanto erano prima?, osai chiedere. Questo non lo so, rispose irritato. Magari, il suo collega, allora di Bonn, avrà ceduto pochi centesimi per strappare un generoso vantaggio per un altro prodotto made in Germany.
I tedeschi hanno avuto, dalla guerra a oggi, appena una dozzina di ministri dell’agricoltura. E tutti competenti. Heimich Lùbke fu ministro dal ‘53 al ‘59, ed ebbe tale successo che fu eletto presidente della repubblica. Il bavarese Ignaz Kiechie era un perito agronomo, e dirigeva una grande fattoria di famiglia, per dieci anni fu ministro dell’agricoltura, fino al 1993, quando fu costretto a lasciare per un infarto. Il liberale Josef Erti era figlio di contadini, e durò ancora più a lungo: fu ministro dell’agricoltura dal 1969 al 1983, sotto Wffly Brandt e Helmut Schmidt, fino a Hehnut Kohl. Nel 1993 fu calpestato da un toro e costretto su una sedia a rotelle, dalla quale nel 2000 cadde in un falò durante una festa nella sua fattoria, e non sopravvisse alle ustioni. Come dire, cadute sul campo. Tutti grandi esperti e appassionati. Se i tedeschi possono spacciare Parmesan con furbesche etichette tricolori e Motzarella prodotta in Baviera, sospetto che sia merito loro.
Roberto Giardina

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