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Italiaoggi

Come la maratona ... Rivella decripta il mercato vinicolo ... I tempi difficili li aveva previsti sin dagli “anni ruggenti” del vino, tra il 1994 e il 2004, usando la metafora della lunga maratona
con centinaia di iscritti di cui però pochi riescono a tagliare il traguardo. Ezio Rivella, l’uomo che ha dato al Brunello il passaporto per il mondo, analizza il mercato del vino con la sua esperienza di oltre mezzo secolo: “Oggi è inevitabile una selezione e una concentrazione delle aziende, se si vuole esportare bisogna puntare sull’organizzazione produttiva e, ancor più, di vendita.. In questo momento si galleggia, c’è un mercato a due velocità, con i grandi marchi che tirano e i piccoli che arrancano, appesantiti anche dal crollo dello sfuso, dovuto alla picchiata dei consumi e alla concorrenza di aree come il Sudamerica; l’Australia o la Spagna, dove i prezzi sono minori. Inutile illudersi: perché le cose cambino ci vorrà tempo. Ma non bisogna mollare, perché gli altri vanno avanti e una volta ceduto terreno è illusorio pensare di riconquistarlo facilmente. Solo in Spagna negli ultimi tempi si è investito 20 volto più che in Italia e la concorrenza aumenta, perché, complici le modifiche del clima, ormai si fa vino quasi dappertutto”. Con l’export che è un campo di battaglia e un mercato interno pietrificato dalla crisi, sottolineata dal ridursi al lumicino degli ordini dalla ristorazione, su cosa bisogna puntare?: “Sino a dieci anni fa sembrava che il futuro fosse solo dei rossi” spiega Rivella “invece, in Italia, sono tornati prepotentemente i bianchi e in generale i vini più leggeri. Quando però si va all’estero questi prodotti scompaiono di fronte a quelli strutturati che hanno conquistato pubblico e critica. L’ideale sarebbe avere due linee: una, per l’Italia, di vini più easy, da produrre in grandi volumi e una per l’estero divini più importanti. Ma a potersi permettere una strategia del genere sono pochi”. E allora, quali sono i capisaldi del vigneto-Italia che consentiranno di resistere sino all’arrivo della ripresa? “Abbiamo un pugno di denominazioni, come Brunello, Barolo, Barbaresco, Amarone, che all’estero valgono più dei marchi che le rappresentano”, dice Ezio Rivella, “poi c’è il Sud, Sicilia in testa, dove le caratteristiche importanti dei vini sono esaltate dal clima”. E se fenomeni come l’Amarone sono riusciti ad arrivare a 15 milioni di bottiglie dalle poche migliaia iniziali quelli abituati a numeri multimilionari sono i produttori di bollicine: “Ci sono i Franciacorta, i trentini e soprattutto il Prosecco, che l’anno scorso in Veneto ha viste 4 mila ettari di nuovi impianti. C’è il Lambrusco, migliorato in qualità, che si vende bene” elenca Rivella e infine l’Asti: “E un classico che piace in Usa, Russia e Cina, ma stenta a costruirsi un’immagine forte, anche per certe politiche di prezzo che lo sviliscono. Inoltre c il controsenso della denominazione che non esiste nel nome geografico che porta. Per rinvigorirne la reputazione bisognerebbe coinvolgere di più il territorio e le sue tradizioni, come si è fatto con successo per altri vini piemontesi”.

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