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La Guida Del Cibo / La Repubblica

Champagne, non solo brindisi una bollicina per ogni occasione ... Vale per gli spumanti “metodo classico” e quindi per gli Champagne come per i Franciacorta, i Trento e gli Oltrepò Pavese: sfatiamo il luogo comune che questi siano vini “perle feste”. È vero che le bollicine di per sé suggeriscono allegria e piacere, ma sono a tutti gli effetti vini, che possono piacere pino meno secondo le tipologie, gli stili, le annate, ma sono da bere e non da accantonare in attesa di ricorrenze o cerimonie, né da relegare fra gli aperitivi o, peggio, da mortificare con i dessert. Di tutto questo gli italiani stanno accorgendosi,perché divini con le ‘bollicine” ne bevono sempre di più, i nostrani ma anche gli Champagne: con 7,6 milioni di bottiglie, nel 2011 l’Italia è stata il quarto mercato per le importazioni di Champagne, preceduta soltanto da Inghilterra, Stati Uniti e Germania. Gli italiani si sono accorti che lo Champagne non costa poi così caro. Sugli scaffali di una qualsiasi enoteca mediamente il prezzo di un buono Champagne, come d’altronde di un Franciacorta o di un Trento di qualità, non è superiore a quello di un vino fermo di pari qualità. Altro luogo comune da sfatare: che sia problematico sposare lo Champagne con i diversi piatti che compongono un menu. Non è vero, perché come ci sono tanti vini (bianchi, rossi, rosati, secchi, dolci...) ci sono tanti Champagne coni quali cercare gli abbinamenti più appropriati, scegliendo tra le cuvée (cioè gli assemblaggi tra i vini delle varie uve), i dosaggi (cioè le quantità di zucchero che modulano dal dolce al secco il sapore finale),delle annate (“lo Champagne non può invecchiare”: niente di più falso, è fra i vini che possono invecchiare meglio). Certo bisogna saper scegliere fra marche e cuvée, fra grandi “maison” e piccoli “récoltant”, senza eccedere nell’altro luogo comune che “piccolo è bello” per definizione. Solo i grandi. marchi, infatti, possono selezionare a ogni vendemmia le uve migliori nella grande massa di uve di cui dispongono e fra i “vin deréserve” accantonati nelle annate precedenti, così assicurando la costanza della qualità delle etichette di maggior prestigio, mentre i piccoli vigneron debbono fare di necessità virtù e giostrare ciò che la natura loro offre. Quando si parla di Krug, DomPérignon, Ruinart,Veuve Cicquot, Bollinger, Jacquesson, Roederer, Pommery, Laurent-Perrìer, Moèt & Chandon o, scendendo di dimensione ma non di prestigio, di Salon, Egly-Ouriet, Bruno Paillard, Selosse... si parla cli nomi che, nelle diverse fasce di mercato e di prezzo nelle quali collocano le proprie etichette, sono garanzia dì standard qualitativi costanti. Anche se la forbice dei prezzi va da quello stellare, sui2500 euro, di un Krug Clos d’Ambonnay, ai 25 euro di una buona buona bottiglia di brut non millesimato, passando attraverso una variegata scala di etichette che raccontano di “blanc de blancs” (solo uve chardonnay) “blanc de noirs” (solo pinot nero e/o pinot meunier), “rosé”, “pas dosé”, “brut”, “sec”, “demi-sec”, e “doux” (più o meno dolci), “sans année” (fatti con vini di varie annate), di cuvée di base o di cuvée “de prestige”, il fiore all’occhiello di ogni maison. Un mondo da scoprire e, tutto sommato, accessibile, almeno per chi si dia la regola di bere solo quando ne vale la pena, cioè poco e bene.


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