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Sanguis Jovis. Sanzvès, Sangiovese! I natali del vitigno più amato … È il più diffuso, ma le sue origini sono contese da Toscana e Romagna. Utilizzato per i grandi rossi come Chianti e Brunello ma anche in purezza... Il vitigno tuttora più diffuso in Italia, nonostante il calo degli ultimi anni, è il rosso Sangiovese: copre ancora 54mila ettari, cioè l’8 per cento di tutti i nostri vigneti. Da secoli diffuso in Romagna dove in dialetto il vino si chiama in modo tranciante e’ bè, il bere. “Fin quando sulla Via Emilia vi daranno da bere dell’acqua, sarete in Emilia, quando vi daranno del vino, sarete in Romagna”, così il grande, delizioso Antonio Baldini. Si calcola che i nostri vitigni autoctoni siano ben 855. Il Sangiovese è di casa in Toscana, in Romagna, in Umbria e nelle Marche, anche se v’è chi lo dice nato dall’incrocio spontaneo fra Ciliegiolo e Calabrese di Montenuovo. Figlio o padre questo Sangiovese? Chi lo sa? Probabilmente lo vinificavano già gli Etruschi. Parecchi palmenti - le vasche entro le quali si pigiava coi piedi l’uva - esistono ancora sui colli fra Romagna e Toscana. Ma dove nasce questo prezioso vitigno? Qui cominciano le rivendicazioni. Intanto, non si sa cosa significhi. Il primo a nominarlo è un agronomo toscano, Giovanni Vettorio Soderini, nel 1590, lo chiama Sangiogheto “sugoso e pienissimo di vino”. Nel dialetto romagnolo diventa Sanzvès, San-che-cosa? Forse San Giove, derivato da Monte Giove vicino a Sant’Arcangelo di Romagna. Secondo un monaco santarcangiolese, sarebbe Sanguis Jovis. Ovviamente in Toscana non ci stanno (San Giovanni Valdarno?) e nemmeno a Predappio Alta dove per secoli le vigne sono state tutte di Sangiovese: giurano che la paternità è loro e che il fondatore di quel Municipium, il tribuno Caio Appio (Predappio, Petra o Praeda Appii), si è ritirato a fare il viticoltore a Marsignano, dove sono passati Etruschi, Umbri, Celti. Lì vicino, a Sansavino, lo skipper Cino Ricci produce il suo “Cenefosse”. Già. Certo, negli Statuti di Predappio del 1363, il vino è già una risorsa importante: sono i Saggi a definire i confini fra vigna e vigna, ad impone di non consumare vino “forestiero” finché ce n’è di quello locale e a fissare i giorni della vendemmia: 50 bolognini di multa a chi sgarra. Nel 1872 il “barone di ferro” Bettino Ricasoli inventa e lancia il Chianti che per il 70 per cento (divenuto oggi 80 per cento) è, appunto, Sangiovese. E il Chianti va forte, ovunque. Però nel 1885 il conte Protonotari Campi torna a Predappio dall’Expo di Parigi col suo Sanzvès premiato quale miglior rosso d’Europa. Cerca e ricerca, l’ampelografo, Girolamo Molon, nel 1906, distingue fra Sangiovese Grosso e Piccolo. A quel punto si sa già che il Sangiovese cambia da regione a regione: in Romagna dà un vino vellutato, odoroso di violetta, di media struttura, in Maremma il Morellino, ma a Montalcino il Brunello e a Montepulciano il Vino Nobile. Alta aristocrazia. Che sembrava messa in ombra dai Super Tuscan. E invece no. Se per Sassicaia e Ornellaia il Sangiovese è uno dei componenti, il più recente Pergole Torte di Montevertine (Siena) è tutto Sangiovese in purezza. “Il vino rosso è libertà”, proclamava il grande Luigi Veronelli. Un brindisi! Pure agli Etruschi.

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