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La Stampa

Le mani sulle Langhe … Le vigne Unesco di Barolo e Barbaresco prese (l’assalto da fondi stranieri e da miliardari che puntano sul vino L’allarme degli storici produttori “Difficile opporsi al cambiamento ma rischiamo di perdere la nostra anima”… Era la terra della Malora. Terra povera. Terra di partigiani, di fa- 4 scine, di forconi, di gorghi, di miseria. Adesso tutti la vogliono. E diventata il lusso da possedere. Un investimento. Un lascito per i figli degli azionisti. E come se sulle Langhe fosse appeso un gigantesco cartello: “For Sale”. In vendita. “Quello che stiamo rischiando è di perdere per sempre le nostre radici e la nostra anima”, dice Matteo Ascheri presidente del Consorzio del Barolo. Il suo è un grido d’allarme. Arriva dal mondo del vino. Ma questa è una storia sulla bellezza, cioè sull’unicità. “Sta succedendo anche qui quello che è già successo in molti centri storici delle città italiane. Si presentano fondi di investimento internazionali che non sanno nulla di quel posto e della sua storia, ma hanno denaro. Possono fare acquisti fuori mercato, possono comprarsi tutto. Possono rilevare cantine famigliari al doppio del valore, risolvendo così il contenzioso fra due fratelli. Vengono qui a fare diversificazione finanziaria. Ma la nostra è una storia fatta di cose precise: microclima, vitigni autoctoni e persone, un certo modo di intendere il lavoro. La nostra è una storia famigliare. Gentrificare le Langhe equivarrebbe a farle morire”. La zona del Barolo: poco più di 2 mila ettari, 1250 proprietari di vigneti, 400 aziende vinicole. E questo il nuovo eldorado. Forse il primo è stato il patron del Parma Calcio, il magnate americano Kyle Krause, proprietario della catena di supermercati Kum&GO e di molto altro. Ha comprato due cantine storiche, Vietti e Serafino, una delle quali - sembrerebbe - perla cifra record di 60 milioni di euro. Libero mercato. E dopo il vino, ha investito in un resort di lusso a Cerretto: 39 camere, 12 suite, un centro benessere fra le colline del Patrimonio Unesco. Altri investitori. Il ceco Miros Lekes, proprietario di un colosso farmaceutico, che ha comprato Réva. Il gruppo Italian Wine Brands che ha comprato Giordano Vini, il fondo di investimenti Clessidra Private Equity che ha comprato cantine in Veneto e in Piemonte. Tutti vogliono il Barolo. Il vino come scommessa sul futuro. Più del mattone, più dell’oro e più dei diamanti. Un ettaro di queste vigne ormai può arrivare a costare 4 milioni di euro. Gli ultimi due acquirenti, in ordine di tempo, sono l’ex top manager di Lenovo Gianfranco Lanci e il fondatore del gruppo Diesel Renzo Rosso. La quota di Langhe in mano a capitali stranieri sarebbe già arrivata al 20%. Cosa resterà alla fine dello shopping? “Questa domanda è più che giusta, dobbiamo farcela tutti”, dice il produttore di Barolo Gianni Gagliardo. “La Langa è un territorio che ha il suo valore strettamente legata alle donne e agli uomini che ci vivono. La Langa senza il langarolo non sarà più quella di oggi. Questo è evidente. Non bastano i soldi per fare un vino buono, perché dentro a un vino c’è sempre la storia di una comunità e di un produttore. Ecco perché non esistono due baroli uguali. Detto ciò: non credo che il fenomeno possa dilagare più di tanto, ma dobbiamo essere pronti. Dobbiamo difenderci. Dobbiamo studiare delle strategie”. Non è più un segreto. Nelle Langhe stanno pensato a una controffensiva. L'idea è quella di far nascere un fondo locale, appoggiato dalla banca locale, per sostenere quelle imprese famigliari che rischiano di essere comprate per mancanza di eredi, in modo da garantire la continuità territoriale. Come una volta erano nate le catene sociali per valorizzare l’uva prodotta dai contadini, adesso potrebbero nascere nuove alleanze. È, quindi, questa, anche una storia di protezionismo? Un storia di chiusura al mondo e di resistenza ai cambiamenti? “Non credo proprio”, dice il sindaco di Alba Carlo Bo. “Io credo che l'identità delle Langhe continuerà a esistere, ma è difficile controbattere la globalizzazione. Dobbiamo essere aperti al mondo. Questo era un territorio poverissimo, cresciuto dal nulla. Grazie a grandi visionari è diventato un luogo straordinario. Io credo che saremo in grado di rimanere noi stessi andando incontro al futuro”. Anche Matteo Ascheri, che ha lanciato quello che definisce “un grido di dolore”, è d'accordo: “Non vogliamo fare battaglie di retroguardia. Tutte le cose cambiano, tutte le cose evolvono. Nessuno può stare fermo. Ma dobbiamo stare attenti. Ho paragonato le Langhe alla barriera corallina, un ecosistema bellissimo che una volta distrutto non si può ricostruire”. Era la terra della Malora di Beppe Fenoglio, adesso è un posto nuovo. Sta cambiando il clima, mai così siccitoso. Stanno cambiando le strade, mai tanto affollate. Un milione di turisti nel 2022, ancora di più quelli attesi nel 2023. Come quei posti unici al mondo. Come Venezia. Come quei vecchi centri storici, dove ancora resistono vecchie botteghe artigianali e trattorie con cucine autentiche. Come qualcosa di speciale, che non ha uguali al mondo, le Langhe sono diventate il luogo di tutti i desideri. La domanda è: sapranno salvarsi da tanto successo? —

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