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La Stampa / Dossier Piu'

Come pacco postale ... Da un angolo all’altro del pianeta il mercato del vino non ha più confini e i suoi emissari diventano commessi viaggiatori... Del preciso istante in cui s’incontrano la notte e il giorno, lungo la sottile linea di luce dove le stelle si ritraggono e il blu del cielo svapora in un azzurro ghiaccio, undicimila metri sotto la fusoliera argentea prende forma il deserto del Gobi. Qualche ora di viaggio ancora: doppiato il serpente della Grande Muraglia che traccia il confine tra le due “Mongolie”, lasciata Pechino e la Città Proibita, Shanghai attende. Il jumbo impiega poche manovre per adagiarsi sulla pista di quello che, da lì a pochi anni, diventerà il “vecchio” aeroporto utilizzato solo per i collegamenti interni.
Nel medesimo tempo che occorre in Italia per discutere il progetto di una grande opera, in Cina è già inaugurata. Atterrano, attenti e curiosi, molti imprenditori del vino accompagnati da una folta delegazione di Veronafiere che organizza nel novembre 1998 la prima edizione di Vinitaly China. È la prima esperienza di esportazione diretta di una rassegna all’estero e da lì prenderà le mosse il Tour mondiale che in una decina d’anni vedrà Vinitaly, e con esso migliaia di aziende, farsi ambasciatore del vino italiano e del made in Italy agroalimentare dalla Grande Muraglia a Hollywood, dal TajiMahl al Cremlino fino al Palazzo Imperiale.
Tokyo, Pechino, Shanghai, Mumbay, Delhi, Boston, Miami, San Francisco, New York, Los Angeles, Las Vegas, Chicago, Mosca: San Pietroburgo: città del mondo e a propria volta mondi autonomi dentro a sub continenti, sono tra le mete di una promozione che è si commerciale ma a forte connotazione culturale. Aeroporti, fusi orari, voli lunghi e soste brevi, sale d’attesa e grandi alberghi, taxi e tube, grattacieli e slum, quartieri fieristici e ball room: un porto dei destini incrociati, dove uomini e donne si trovano, conoscono e comunicano attraverso il frutto della terra, il vino.
Nell’era della globalizzazione, che echeggia tra le sedi aziendali come uno spettro angosciante, è proprio il vino a rompere gli argini della diffidenza e a far incontrare uomini e storie. Nel Celeste Impero, dove per identificare il vino bisogna precisare che è d’uva (pu tao jiu, vino derivante al 100% da succo d’uva; oggi sta diventando una bevanda sempre più richiesta e cercata da chi la vive come una sorta di dichiarazione di successo economico) per distinguerlo da quello di riso, è il sorriso mite e millenario di Lau Chi Sun, cultore dell’enologia italiana, che ti accoglie con un invito.
“Per favore, aiutate a diffondere il vangelo del vino, dicendo gentilmente ai vostri ospiti che le bevande o i succhi di frutta sono troppo dolci e poco salutari da bere durante i pasti e che gli alcolici si gustano meglio dopo il vino, dal momento che addormentano il palato”. Così, file pazienti di cinesi si siedono curiose ai tavoli delle sale di degustazione e se a Pechino assaggiano la bagna cauda pasteggiando con un rosso adeguato, a Shanghai sperimentano diversi tipi di pasta con vini bianchi e rossi; mentre nelle cene di gala si celebrano gli abbinamenti con i piatti locali (sono centinaia, uno su tutti: Franciacorta d’annata su minestra bollita in melone invernale).
Dall’altra parte dell’Oceano, fa la spola, nelle serrate tappe di USA Tour in un autunno carico di uragani a Boston, gelido a Chicago (dove nei giorni di Vinitaly i White Sox si aggiudicano per la prima volta in 88 anni la Lega di baseball) e provvido di sole a Los Angeles, la minuta figura di una talent scout del vino, Joanie Bonfiglio, che è alla ricerca di vini autoctoni di cantine poco conosciute. Perché negli USA, il primo mercato per l’export, ogni città una storia a sé e c’è spazio anche per i piccoli produttori con vini fortemente legati al territorio.
Vinitaly, nel suo giro intorno al mondo, ha lasciato la sua impronta, come una “star” sul Sunset, anche a Hollywood con una serata-evento in un locale del celebre Boulevard dedicata alle eccellenze del made in Italy e con la consegna del Premio Internazionale Vinitaly ad Alexander Payne, il regista del film eno-esistenziale Sideways. Per approdare poi in India: alla Bollywood di Mumbai e a New Delhi, in un sub continente tanto vasto quanto contraddittorio, ad inaugurare l’anno dell’Italia con wine tasting e workshop che attirano una delle popolazioni più dinamiche e giovani del pianeta, curiosa e attenta nella sua componente più istruita, ricca e open mind, a tutto ciò che esprime novità e lifestyle.
E al Cremlino, dove il Tricolore enogastronomico ha conquistato la piazza d’armi più celebre al mondo con due locali griffati Italia, il Bosco Bar e il Bosco Cafe, affacciati sulla Red Square, Vinitaly alla Stakheev House non poteva che proporre, a simboleggiare un brindisi cosmopolita, una serata di canto lirico con la Fondazione Arena di Verona culminata nella celebre “Libiam ne’ lieti calici” tratta dalla Traviata di Giuseppe Verdi. Ed è con la leggerezza e l’apertura al mondo e agli altri evocate dal vino in tale aria, che il viaggio prosegue, affascinante e meraviglioso come la vita.

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