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La Stampa / Dossier Piu'

Le regole di casa Zonin ... In una delle più grandi aziende vinicole italiane funziona così: di padre in figlio ma con giudizio ovvero: un giorno tutto questo sarà tuo se te lo meriti... A casa Zonin vige la vecchia scuola: i gradi si conquistano sul campo, perché nella vita nessuno ti regala niente, anche se sei l’erede di un nome che si traduce nella più grande realtà enologica italiana. Un esempio: ad agosto si festeggiava il trentennale della virginiana Barboursville Vineyards, la testa di ponte Oltreoceano dell’azienda di Gambellara. Sul volo per Washington i signori Gianni e Silvana Zonin, con i loro ospiti viaggiavano in business class, mentre i due figli, Francesco e Domenico, in economy. Così, senza parere. E se si fosse chiesto come mai questa differenza, certamente la risposta sarebbe stata che non si erano trovati posti per tutti nella classe superiore.
Ma, per chi conosce lo stile di famiglia, l’episodio può inserirsi nell’aneddotica di casa Zonin, in cui l’esempio dello zio Domenico, che nei suoi cent’anni di vita era riuscito a vedere l’azienda fondata dai suoi bisnonni nel 1821 raggiungere traguardi forse nemmeno immaginati, continua a contare. Domenico, dopo aver portato su per i monti munizioni agli Alpini che combattevano la Grande Guerra, portava i campioni dei suoi vini ai mercati del Veneto e di lì cominciò la sua scalata al mondo del vino, allora ancora necessità di complemento alimentare, poi diventata immagine di gusto.
Questo passaggio, non immediato, fu compiuto con la logica di lasciare il timone a qualcun altro. E lui scelse per proseguire su una strada ancora non tracciata il nipote Gianni. Niente di regalato anche lì. La coscienza che per crescere bisogna sapere era chiara nella sua mente di patriarca e così fu, anche se, ad un certo punto del percorso tra vecchio e nuovo si aprì l’inevitabile confronto di idee. Quando Gianni Zonin propose di uscire dai confini sino ad allora tenuti come dimensione aziendale, comprando vigneti fuori dalla vista di casa, il vecchio pioniere non fu d’accordo e cominciò un braccio di ferro tra due personalità altrettanto forti. Poi, se non la convinzione, almeno la scommessa sulla fiducia aprì le porte al possibile e i vigneti si sommarono ai vigneti: dal Veneto al Friuli, dalla Toscana alla Sicilia, al Piemonte. Sino in America, un posto dove generazioni di italiani erano andati per offrire braccia e il nuovo leader dell’azienda andò per acquistare terreni e dare lavoro.
Ora il passaggio è un altro, con giovani che hanno davanti un mondo diverso e un mercato diverso, ma sono stati orientati sulla stessa linea dell’impegno. Francesco e Domenico oggi si trovano nelle mani una costellazione dì tenute che è lunga da elencare come i possedimenti dei grandi feudatari. Si chiamano: Castello del Poggio, sulle colline del Monferrato; Tenuta il Bosco, nell’Oltrepò Pavese; Tenute Ca Vescovo e Ca Bolani, in Friuli; Castello d’Albola, Monte Oliveto, fattoria dei Bichi, San Gimigniamo e Maremma, in Toscana; feudo dei Principi di Butera, in Sicilia; le masserie Conte Martini-Carissimo e Torre Santa Susanna e Oria, in Puglia. Tutto questo fa capo alla casa-madre di famiglia, a Gambellara, affiancata dal Podere il Giangio e dal Maso Laito. Per chiudere negli States con la Barboursville Vineyards.
I due “ragazzi” di Casa Zonin sono appena entrati in gioco, entrambi con il rango di vicepresidente. Due “figli d’arte”, lasciati liberi di esprimere la propria personalità all’interno di un gruppo che vale 30 milioni di bottiglie, destinate per il 40% all’export e prodotte da 450 dipendenti su 1800 ettari di vigneto. Entrambi con studi accademici ed esperienze a livello dei migliori “top manager” internazionali si dividono le responsabilità sotto l’occhio vigile del padre. Francesco, 31 anni, costruisce la futura immagine del gruppo attraverso l’attività commerciale e le campagne di comunicazione (è suo lo slogan: “Il vino è un pensiero d’amore”) coltivando le sue passioni per la cucina, le letture e la musica. Domenico, 32 anni, si occupa della produzione “dal vigneto alla bottiglia” e, quando può, sottolinea la sua voglia di spazi aperti con solitarie corse in moto. Due promesse certe per continuare la linea indicata di Gianni Zonin, quella “del bello, del buono e della qualità”.

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