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La Stampa / Specchio

Confessioni di un produttore (pentito) di vino. Bruno Ceretto, uno dei re del Barolo, riconosce: abbiamo sbagliato a sopravvalutare alcune etichette. Ma sui rimedi che propone, è polemica ... Finite le fatiche del lavoro in vigna, per Bruno Ceretto è ora di fare i conti, di mettere a punto i prezzi per la prossima stagione. “La qualità aiuta sempre il mercato, grandi annate come 1988, 1989 e 1990 ci hanno premesso di raggiungere livelli di notorietà mondiale con pagine intere sulle grandi riviste internazionali. La serie magica dal 1998 al 2001 ci ha consentito di consolidare i mercati e di sfondare su fronti che credevamo impossibili come Nord Europa, Russia ed Estremo Oriente”
Dopo i recenti fasti è indispensabile pensare a un presente non proprio facile. “Dalla mia banca mi sono fatto mandare una statistica su quanto valevano mille lire nel 1970 e quanto valgono oggi, poi ho fatto un confronto tra il prezzo del barolo nel 1970 e quello del 1999. Mi sono reso conto che pur essendo titolare di un’azienda che ha capito bene il mercato, che ha speso e investito, abbiamo probabilmente esagerato nei prezzi di barolo e barbaresco. Un’autocritica clamorosa, fatta da quello che è considerato il guru nel fare marketing ed immagine. Un’accusa che colpisce solo i grandi vini: “Ho fatto lo stesso confronto sui cosiddetti vini minori – continua Ceretto – che alla fine sono quelli che tengono in piedi le aziende, e ho visto che lì non ci sono stati ricarichi fuori misura e che quei prezzi sono giusti”. Quindi il verdetto del re del mercato è che barolo e barbaresco si sono un po’ montati la testa, mentre arnesi, dolcetto, barbera, nebbiolo hanno tenuto il giusto livello. “Infatti – conclude Ceretto – i nostri prodotti di eccellenza finiscono per restare troppo sugli scaffali e nelle cantine dei ristoranti, non vorrei che facessero la fine di certi abiti che, dopo essere rimasti a lungo nelle vetrine di via Montenapoleone vengono venduti negli outlet store”. Le parole di Ceretto fanno scalpore, non mancano i produttori che hanno già deciso di seguire il suo esempio, ma dal presidente del Consorzio di Tutela Barolo e Barbaresco arriva un invito alla calma. “Il vero problema prezzi - dice Giovanni Minetti - è non aumentarli ancora. Bisogna continuare a contenerli. L’abbassamento non è poi così utile perché il prezzo all’origine rappresenta il trenta per cento di quanto il consumatore finale andrà a pagare. Ma uno spiraglio alla proposta Ceretto resta aperto. “Un taglio si può fare in un’annata problematica, ma non dobbiamo svendere la qualità, perché produrla costa. C’è ancora molto lavoro da fare sull’educazione al consumatore che deve capire perché un vino costa più caro di un altro”. I prezzi sono un problema, soprattutto in una situazione economica difficile. Il messaggio chiaro è che non è il momento di aumentare le pretese. “Abbiamo per le mani un’annata straordinaria – dice Gianni Gagliardo, barolista a La Morra e patron dell’unica asta del Barolo organizzata in Langa – L’ultima vendemmia è stata perfetta e possiamo dirlo anche se troppo spesso il vino si giudica quando non c’è ancora. Alla diminuzione di prezzi ci stiamo pensando, c’è un discorso aperto. E non è un’azione estemporanea, ci sarebbe una logica. Lo scorso anno i costi alti ci avevano costretto a salire ancora, adesso tutto è andato bene, comunque ci riserviamo di fare i conti tra qualche settimana”. Il dibattito è ancora aperto su una decisione epocale per il mondo del vino langarolo che viene da anni di crescita sotto tutti i punti di vista. Da La Morra, Giacomo Oddero, uno dei decani del barolo, prende le distanze: “Noi i prezzi né li aumentiamo, né li abbassiamo. Abbiamo sempre fatto una politica di qualità molto attenta, senza esaltazione e senza rimetterci. Chi ha rispettato la tradizione della nostra terra e non si è fatto prendere la mano dai successi non ha bisogno di fare saldi. Comunque sarebbe un errore farsi forti ora della grande annata 2003, perché arriverà sul mercato quando la crisi sarà passata.” Nel dibattito tra i produttori interviene uno che fa il vino per sé, ma soprattutto la fa per gli altri. Beppe Caviola di Montelupo Albese è uno degli enologi più apprezzati d’Italia. “Abbassare i prezzi? Non mi sembra una buona idea. Spiegatemi perché farlo visto che a vendere di più sono i vini costosi, i grandi cru, mentre restano sullo scaffale i cosiddetti prodotti base. Credo semmai sia una questione di coscienza: se ci sono produttori che sono andati oltre ogni regola e senza ragionamento allora devono fare autocritica e tagliare. Altrimenti non mi sembra che il barolo costi più caro dei vini di fascia alta di tutto il mondo”. Da Caviola arriva una attenta analisi: “Non si possono tagliare i prezzi quando una vigna costa un miliardo all’ettaro e le rese sono basse. Il rischio è che ad abbassare i prezzi in modo ingiustificato si lasci al cliente la sensazione di averlo fregato quando si continuava ad aumentare” ... (arretrato de "Lo Specchio de La Stampa" del 1 novembre 2003)

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