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La Stampa / Speciale Vinitaly

La scatola magica del Re dei vini ... Il WiMu a Barolo: una delle più belle novità del panorama enologico italiano... “Quello che non c’era, adesso c’è”. È lo slogan che a settembre 2010 ha
accompagnato l’apertura del Museo del Vino allestito nel cuore delle Langhe, nel castello Falletti di Barolo. O meglio del “WiMu”, Wine Museum, come è stato deciso di battezzare la nuova creatura di François Confino, assecondando la moda dilagante degli acronimi nelle strutture museali. Storia secolare, cantine prestigiose, grandi bottiglie, vigneti baciati dal sole: in tema di enologia, sulle colline albesi c’era già tutto. Mancava qualcosa e qualcuno che si accostasse al vino in modo diverso, che raccontasse questo mondo attingendo alla fantasia, all’emozione e ai contrasti fino alla provocazione. La scelta dell’architetto svizzero, che ha allestito il Museo del Cinema nella Mole torinese e ha curato il restyling del Museo dell’Automobile, non poteva essere più azzeccata. Confino ha trasformato lo storico castello in una “scatola magica” con 25 sale su 5 piani. Per realizzarla, la Regione Piemonte non ha badato a spese (il conto finale si aggira intorno ai 7 milioni di euro) e l’architetto non ha badato ai pixel. Seguendo la sua vena creativa, ha disseminato i vari piani del castello di immagini, effetti visivi e giochi di luce, prove sensoriali e suggestioni musicali, mescolando rigore scientifico e divertissement puro, citazioni colte e trovate a volte spiazzanti. Ecco allora installazioni multimediali per far dialogare in cucina una vecchia cuoca di Langa e un rinomato chef contemporaneo, un pianoforte che suona solitario e una giostra a pedali con cui far scorrere le stagioni. E poi curiosi diorami, teatrini e macchine che il visitatore può mettere in moto.
Nella storia della civiltà occidentale, il vino non è una bevanda qualsiasi: è al centro della sua tradizione, mito e metafora della vita. E così lo vediamo emergere da ogni epoca, lasciare la sua impronta in ogni luogo, accompagnare la storia dell’umanità dai tempi più remoti fino ai giorni nostri. Ed è proprio per seguire questo filo rosso che il percorso di visita inizia dall’alto, con un omaggio alle divinità di ogni latitudine, e si conclude là dove tutto ebbe inizio, nelle cantine del castello in cui la marchesa Colbert “creò” il vino Barolo. La sensazione è quella di compiere un viaggio emozionale fra buio e luce, suoni e colore, fra realtà e mito. Non una semplice collezione antropologica di memorie contadine, ma un’esperienza interattiva alla scoperta della cultura del vino. Il WiMu è anche un omaggio alla storia del castello e ai personaggi illustri che lo hanno abitato: oltre alla marchesa Juliette e al marito Carlo Tancredi Falletti, il patriota Silvio Pellico che qui fu bibliotecario e di cui è conservata intatta la camera-studio. La formula ha subito conquistato i visitatori. In pochi mesi i biglietti hanno superato quota 30 mila e con l’analisi degli ingressi si delineano le caratteristiche dei turisti maggiormente attratti dalla nuova creatura. Quarant’anni, straniero, di buona cultura: ecco l’identikit del visitatore-tipo del Museo del Vino. Il percorso conquista gli appassionati, ma attrae anche le famiglie: i bambini escono entusiasti dalle sale in cui la multimedialità la fa da padrona. Prima di guadagnare l’uscita, i visitatori prendono posto tra i vecchi banchi del Collegio Barolo e un maestro virtuale li interroga sul viaggio appena compiuto. Per chi supera l’esame, si aprono le porte del Tempio dell’Enoturista. Dopo il vino narrato, ecco finalmente il vino degustato nella pienezza dei cinque sensi. Qui, grazie alla Barolo Wine School, i visitatori imparano a riconoscere i profumi e i colori, a scoprire la personalità dei grandi “cru”. Usciti dalla scatola magica, vien voglia di partire alla scoperta delle colline, visitare una cantina, conoscere un produttore, passeggiate silenziosamente in un vigneto. O rifugiarsi in un’osteria e chiedere la carta dei vini.

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