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La Stampa

De gustibus disputandum est - Nell'enologia storica tentare una terza via tra nuovo e tradizione ... Da quanto mi riferiscono alcuni produttori è in corso una crisi dei mercati svizzero e tedesco per alcuni vini italiani, molto accentuata per il Barbaresco, un po´meno per il Barolo. La lamentela principale degli acquirenti di quei paesi riguarda gli alti prezzi raggiunti dalle bottiglie, ma forse non è soltanto questione di prezzi: da quelle parti è in atto una campagna di stampa che dovrebbe farci riflettere. Cito per tutti l´articolo di un amico, Rudolf Trezfer, apparso poco tempo fa sul più importante settimanale svizzero, Die Weltwoche. Il pezzo si apre descrivendo l´ascesa dei vini del cosiddetto nuovo mondo (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Cile, Argentina). Qui hanno puntato sui maggiori vitigni internazionali (Chardonnay, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon) e, dotandosi di elementi di marketing molto forti e tecniche di cantina innovative ma non sempre corrette (trucioli di rovere e concentratori di aromi), hanno prodotto vini tutti con lo stesso stile fatto di potenza, concentrazione, legno. Il successo non è tardato, perché si tratta di vini che vanno incontro a quello riconosciuto oggi come gusto internazionale, premiato dalle guide che influenzano notevolmente le scelte dei consumatori. Trezfer critica questo modo di costruire i vini, realizzandoli sostanzialmente con trucchi di cantina e trascurando le specificità territoriali. Lamenta l´esistenza di una sorta di design vinicolo che, in base alle indagini di mercato, dà origine a prodotti omologati in tutto il mondo. Secondo il giornalista svizzero poi, questi vini non sono abbinabili a nessun cibo del territorio e, visti i prezzi che spuntano, rispondono soltanto alle esigenze di un nuovo stile di vita lussuoso che nulla ha a che vedere con la tradizione storica del vino: prodotto elegante, fine, portatore di specificità ben precise. La preoccupazione maggiore dice Trezfer è che questo stile produttivo omologante abbia attecchito anche nelle zone storiche del vino come Francia e Italia. A partire dalla creazione dei «supertuscans», passando per Baroli e Barbareschi ultralegnosi, arrivando all´invenzione di Barbere e Dolcetti talmente concentrati che «non si dovrebbero bere, ma spalmare sul pane». Anche in questi paesi le guide li hanno premiati, allineando i gusti degli appassionati a favore dei vini «dopati», «pompati». Per fortuna alla fine dell´articolo si lasciano delle chanches aperte, dicendo che nei territori storici del vino si sta tornando a fare dei vini con maggiore identità, si sta in sostanza tornando al passato. Io vorrei aprire il dibattito, facendo anche leggera autocritica, ma tenendo conto della storia del vino, che ha vissuto un´evoluzione niente affatto lineare: molti produttori di Barolo una volta sostenevano che doveva avere quella puzzetta che chiamavano di «merdin», la quale non mi sembra riconducibile a nessun elemento della flora langarola. A fine `800 i Baroli si stoccavano in damigiane di vetro nei sottotetti perché acquisissero un principio di maderizzazione: non è vero dunque che si tratta di vini di tradizione millenaria o secolare da rispettare dogmaticamente. Che oggi ci sia un´omologazione globale è un fatto preoccupante, anche perché quel genere di vini mette in second´ordine quei vitigni più beverini come la Freisa, il Grignolino, le Barbere vivaci o i Dolcetti dalla beva rinfrancante. Ciò nondimeno, se un produttore di Dolcetto di Dogliani, dove il Nebbiolo da Barolo è vietato, intende sperimentare le potenzialità di quest´uva, non mi sembra un´operazione da buttare o da esecrare. Personalmente, come ex coordinatore della guida «Vini d´Italia», ho condiviso questa tendenza al suo nascere perché avevo assaggiato molti, troppi, Baroli con quella puzzetta che mi dava fastidio. Altrettanto onestamente devo dire che le motivazioni di Trezfer mi trovano concorde. Mi piacerebbe che nelle mie Langhe si aprisse un dibattito fecondo, non noioso e obsoleto come quello fra tradizionalisti e innovatori. Un dibattito che lasci spazio alla creatività e che riconosca, perché no, certi malumori del mercato. Trovo idiota la posizione di coloro che alla ricerca frenetica di un vecchio stile sposano puzze e difetti soltanto per dar contro a quello che in quest´ultimo decennio è stato un trend tutto sommato positivo. Stare fermi sulle proprie posizioni e non mettersi in gioco con l´evoluzione dei tempi non è necessariamente segnale distintivo dei detentori della verità: esiste una terza via? Se qualcuno vuol discutere, di argomenti ce ne sono a sufficienza.

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