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La Stampa

Barbera, da Asti alla conquista d’Italia: il grande vino tra i più apprezzati all'estero cerca nuovi spazi sul mercato nazionale. Il consorzio di tutela: un potenziale da 50 milioni di bottiglie ... Cominciamo dal genere: femminile senza più dubbi. E’ «la barbera», così come già la cantò il Carducci e così come oggi si presenta, uscendo dalle cantine, sempre più rotonda, senza spigoli e ruvidezze. Femminile, ma con grinta, passata dal ruolo di «cenerentola» dell’enologia, vilipesa ai tempi non lontani, dello scandalo del metanolo (1986), a protagonista di un rilancio d’immagine e di mercato che la pone tra i vini italiani più conosciuti all’estero. Si dice barbera e si pensa al Nord Ovest (ma ne esistono presenze anche nell’Oltrepo’ e nel Bolognese). In Piemonte questo vitigno è il più diffuso e rappresenta oltre un terzo dell’intera produzione regionale di vini a doc. Le denominazioni d’Asti, Monferrato e Piemonte sfiorano i 500 mila ettolitri, cui vanno aggiunti la barbera d’Alba (altri 120 mila) e il Colli Tortonesi (poco meno di 10 mila ettolitri). «Abbiamo un potenziale tra i 40 e 50 milioni di bottiglie, espresso solo a metà, considerando la quota dello sfuso e il mercato dei bottiglioni, in netto declino» annota Luigi Dezzani, presidente del Consorzio vini d’Asti e del Monferrato, che ha promosso ieri un incontro ad Agliano, una delle capitali riconosciute di questo vino. In questa zona hanno preso vigne anche gli Antinori, con la Prunotto di Alba e barolisti eccellenti come i Vietti. Dall’altra parte della vallata a Castelnuovo Calcea, ci sono i filari di Michele Chiarlo, altro nome che ha dato alla barbera lustro internazionale. A Castagnole Lanze Ezio Rivella, dopo aver lanciato il Brunello, è tornato nei poderi di casa, a vinificare barbera. Ieri, produttori e protagonisti del mercato si sono interrogati sulla questione: si può essere un «top wine» con numeri così grandi? Il Consorzio, in attesa della docg, ha chiesto alla Regione Piemonte di introdurre su ogni bottiglia una fascetta numerata in modo da favorire la tracciabilità: dalla vigna alla cantina agli scaffali dei supermercati. Nei punti di vendita i prezzi (altra questione aperta) sono differenziati: dai pochi euro a venti e oltre, per le griffe più affermate. Un segno di versalità, ma che crea non poche confusioni verso i consumatori. Le indagini di mercato confermano che il prezzo è al primo posto nelle motivazioni di scelta di un vino, soprattutto se di consumo quotidiano, e che la soglia psicologica dei 10 euro a bottiglia è tra le più difficili da superare. Dalla grande distribuzione, rappresentata ieri da Stefano Pesenti del Gruppo Rinascente-Auchan, è arrivata un’analisi concreta del mercato: «La Barbera, dopo il Lambrusco è il vino più conosciuto e venduto nelle nostre catene, pur mantenendo una forte connotazione regionale. E’ più conosciuta all’estero che nel Centro e Sud d’Italia che diventa il vero mercato da conquistare». Il Consorzio, a cui aderiscono 130 aziende che rappresentano il 53% dell’attuale produzione di 30 milioni di bottiglie (13,5 per la doc barbera d’Asti, 8,9 per il Monferrato e 6,8 per la barbera Piemonte), vuole anche monitorare il fenomeno degli imbottigliamenti fuori zona, per legare sempre più il vino ai territori d’origine. In questo senso possono svolgere un ruolo anche le sottozone come il «Nizza» che rappresentanto una sottolineatura della qualità. E di barbera si parlerà, tra l’altro, anche a Conegliano Veneto nell’ambito del «Golden Flute» organizzato dalla Carpenè Malvolti che martedì metterà a confronto venti vitigni autoctoni italiani, giudicati una «ricchezza unica della nostra ampelografia». Dal Timorasso al Sagrantino di Montefalco, dal Teroldego Rotaliano al Primitivo di Manduria, la Barbera sarà in buona compagnia.

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